Uscito dalle scuole d’arte decorativa della Germana guglielmina, il giovane Otto Dix si arruolò volontario nella Grande Guerra. Era imbevuto dell’ideologia idealista e bellicista, col suo bagaglio di miti e velleità, affascinato da Nietzsche e dalla ricerca del dionisiaco, ma ciò che conobbe da artigliere non fu la gloria, non vide eroismo, prodezza, ardimento, apprese invece lo sgomento, il pianto, le mutilazioni. Fu scioccato dall’orripilante visione di cadaveri e rovine. Presto, sui suoi diari, gli orrori assunsero la forma di disegni terrificanti e, quando il tuono dei cannoni si spense, il suo animo era profondamente diverso.

Scosso da tanta brutalità si proiettò nel mondo delle avanguardie artistiche della Repubblica di Weimar, permeato dalle idee del socialismo rivoluzionario. In un Paese uscito sconfitto dalla guerra, affondato in una crisi finanziaria senza precedenti, affamato dalla disoccupazione, lacerato dall’instabilità politica e percosso da fremiti e paure, Dix si fece portatore di un messaggio antimilitarista e democratico, ma provocatorio nelle forme. Fu partecipe dei movimenti artistici Dada, della Secessione di Dresda e del Gruppo di Novembre di Berlino e capeggiò la corrente pittorica post-espressionista della Nuova Oggettività. Quello che aveva visto sui campi di battaglia, il sangue, le efferatezze, il lutto e i corpi deturpati, gli consegnarono incubi e fosche meditazioni che, prima ancora della celebre serie di lavori “La guerra”, si incanalarono nel portfolio intitolato “Circo”, raccolta di creazioni dal tratto aspro, incisioni spastiche e tetre.

Il circo godeva allora di grande popolarità. In quella fase di spaesamento e crisi economica, il pubblico tedesco era felice di abbandonarsi all’inebriante mondo di abilità tecniche e suggestioni dei circensi. Così anche Dix, assiduo spettatore del Circo Sarrasani, ne fu ammaliato e vi trovò ispirazione. I circensi gli apparivano posti ai margini della società, liberi da vincoli morali e soggetti ad un grande pericolo personale coi loro spettacoli. Rimescolò tutto per comunicare ciò che si portava dentro e sprigionò il suo disagio in opere di grande impatto visivo, inquiete e irritanti, in cui il circo diveniva espressione rivelatrice di una umanità sul baratro dell’orrore assoluto, come se stesse prevedendo alle porteuna nuova e più distruttiva guerra.

Questa serie di incisioni a puntasecca e acquatinta risale ai primi Anni Venti. E’ di grande interesse. L’atto circense vi incarna un concetto complesso e tormentato di vita, i circensi stessi esprimono un mondo interiore fatto di lacerazioni e paure. Sotto i tendoni di Dix non trovava posto la spensieratezza. Il circo era cupo come una notte di bombardamenti, orrifico come i corpi esanimi dei soldati caduti, i suoi artisti erano figure grottesche. Acrobati, pagliacci, funamboli venivano, infatti, stilizzati sino a rasentare l’assurdo, assumendo le sembianze di grotteschi simulacri di un’angoscia esistenziale.

Sulla coppia di acrobati di “Spregiatori della morte” vediamo aleggiare il teschio della morte che trasfigura i volti in una espressione scheletrica e luttuosa, la trapezista Lilli di “Regina dell’aria” ci fissa con occhi demoniaci, la donna che si erge davanti al mago in “L’atto dell’illusione” è un mostruoso ibrido col corpo di ragno, il nano di “Sketch” spara ad un uomo-manichino, trafitto alla testa da un’ascia e al petto da una vite. Queste immagini non dovevano rappresentare il circo, dovevano rappresentare una società di decadenza e depravazione. Dovevano scioccare. Il circo di Dix doveva specchiare un mondo atroce e tralignato in cui la gente è partecipe di un orrore che si rinnova. Le sue sono opere connotate da crudi particolari, sconci, bestiali, sono dominate da tipi sociali che incarnano la crisi della coscienza moderna, da uomini e donne estremamente deformati al fine di mostrare la bruttezza e la miseria di corpi privi di umanità. Così, con gli osceni oli su tela “La domatrice di leoni” e “Suleika, la meraviglia tatuata”, Dix poteva richiamare l’attenzione sulla morte, sul frivolo, sul sadismo di una umanità perduta.

L’ascesa di Hitler lo trovò con una cattedra all’Accademia di Belle Arti di Dresda, forte del riconoscimento del mondo ufficiale dell’arte. Dovette dimettersi e rinunciare anche all’appartenenza all’Accademia Prussiana delle Belle Arti. Non fuggì, ma subì l’ostracismo del regime che classificò i suoi lavori come sabotaggio allo spirito nazionale. Nel 1934 tutte le sue opere furono sequestrate dai musei tedeschi, messi alla berlina in una esposizione di cosiddetta “Arte Degenerata” e poi dati al rogo. Nel novembre 1938, la sua casa fu perquisita dalla Gestapo, i suoi quadri furono danneggiati. L’anno dopo, a seguito di un fallito attentato ad Hitler, Dix venne arrestato come sospetto. Rilasciato si rassegnò al silenzio della vita privata, tuttavia, in quanto veterano della prima guerra mondiale, fu nuovamente richiamato nell’esercito. Catturato dalle truppe francesi, fu rilasciato nel 1946, per tornare lentamente protagonista di eventi pubblici.