Condividiamo oggi con voi amici di CircusNews.it degli spunti molto interessanti dall’abstract della tesi dell’amico e già collaboratore Marco Mannino, laureato in Lettere presso l’Università Guglielmo Marconi di Roma.

La presente trattazione nasce dal concetto di eterotopia teorizzato da Michel Foucault: “quegli spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l’insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano”. Intendiamo luoghi altri e spesso contro, che si caratterizzano come minoritari, e perciò fortemente connotati, rispetto allo spazio esterno, maggioritario e ordinario. Se l’autore francese aveva esemplificato questo concetto innanzitutto nelle periferie, nelle carceri e nelle navi (spazio emblematico di confine e transizione), questo lavoro di tesi muove dal quesito se possa essere spazio eterotopico anche il circo, e per estensione, la comunità dello spettacolo viaggiante. Partendo dalle origini di questa forma d’arte, si è considerato il rapporto complesso tra nomadi e fermi (“gagi” e “dritti” secondo la lingua dei Sinti): dalle origini del teatro di epoca romana, all’età medioevale, continuando per le figure oscure ma affascinanti delle piazze di Cinque e Seicento, ai carnevali veneziani,  fino alla nascita del circo moderno – connubio di militari, sportivi e minoranze etniche orientali – e alle sue fasi di consenso e affermazione di massa, arrivando alle evoluzioni più recenti del circo contemporaneo. In seguito si è considerato il circo da un punto di vista normativo, innanzitutto passando in rassegna la Legge 337 del 1968 che ne sancisce dignità sociale e culturale, rispetto a cui si riscontra tuttavia un crescente disallineamento da parte delle autorità locali; ma come ogni forma di impresa, anche quella di spettacolo viaggiante accede alla possibilità di finanziamenti ministeriali del Fondo Unico per gli spettacoli, con requisiti sempre più stringenti in ottica di innovazione e di etica. Aspetto, quest’ultimo, che apre una menzione alla diatriba tra animalisti e circensi relativamente all’impiego degli animali (e di quali animali) negli spettacoli circensi, secondo una sensibilità oggi diversa ma probabilmente non sufficiente a giustificare il calo di presenze sotto i tendoni. Il secondo capitolo, a tal proposito, offre tabelle e grafici che indicano lo stato di salute dello spettacolo viaggiante in Italia – anche in relazione a generi affini – e l’impatto economico che ha il mantenimento di uno zoo per un circo di medio/grandi dimensioni. Dati che comportano ricadute non solo sul comparto circense, numericamente molto circoscritto, ma anche su altri che con l’industria circense si mantengono in vita e fioriscono, rappresentando spesso eccellenze italiane. Senza tralasciare che il Circo, nella sua chiusura e complessità, è pure un mondo affascinante e fortemente identitario. Rileva Alessandro Serena, storico dello spettacolo, di origine circense, che questo micro cosmo ha la sua matrice nella famiglia: in sintesi ogni circo è innanzitutto un nucleo umano di sentimenti e relazioni che sono causa e fine di un’esperienza onnicomprensiva che vede nella circolarità del tendone la propria metafora. Queste considerazioni ci trasmettono un senso di comunità culturale. Ed è ciò che maggiormente rende ragione di una trattazione del tema esposto nella prospettiva di Geografia Umanista, ovvero sotto la lente di un approccio più sensibile ai luoghi, con i loro vissuti e il carico di significati, piuttosto che per la loro materiale spazialità. Alla luce di ciò, si è analizzata la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio immateriale stipulata a Parigi nel 2003, che riconosce il proprio oggetto di tutela nei valori fondanti e di appartenenza di una comunità: “questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d’identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana”.

Per cogliere davvero il senso di questo vivere all’interno di un luogo-altro, nel terzo capitolo si passano in rassegna due esperienze portatrici di elementi differenti ma utili a tracciare una rappresentazione complessiva dello spettacolo viaggiante come eterotopia. Da una parte il cirque Bidon, compagnia francese che gira tra Francia e Italia su carrozze trainate da cavalli, senza tendone e portando in scena, innanzitutto, un altro tempo; dall’altra parte, la famiglia Togni, antica, nota a livello internazionale, fortemente identitaria e assai ramificata. Di essa, l’aspetto che interessa la nostra ricerca è il fatto che la gloriosa dinastia, negli anni Novanta, quando lo “spettacolo più bello del mondo” andava perdendo fascino nel nostro Paese come in tutto lo scenario Occidentale, è tornata sui propri passi con un’attenta operazione di amarcord: interni in velluto, lampadari d’epoca, personaggi istrionici d’altri tempi, con le produzioni Il Florilegio e, in misura minore, circo Maccheroni.

Madaudo

Il confronto pertanto non si esaurisce in una banale contrapposizione tra circo contemporaneo senza animali (Bidon) contro circo tradizionale con serraglio al seguito (Togni). Si osserva come le nuove frontiere del circo, più che nei laser, negli ologrammi, o nei virtuosismi agevolati dalla tecnologia – che trovano spazio persino più nelle piste dei circhi tradizionali che di quelli d’avanguardia – si devono trovare nel riappropriarsi di quella matrice antica e irrinunciabile dal senso profondamente umano fatta di visionarietà felliniana e mestiere.

Elementi che potranno garantire continuità ad una forma di spettacolo che è, contemporaneamente, forma di vita; e consentendoci di affermare convintamente che il circo è un’eterotopia: lo è de facto come comunità culturale che rappresenta un patrimonio condiviso di valori, che trova nella famiglia il proprio presupposto e la propria ragion d’essere. E ricordando la definizione di Foucault per cui questi contro-luoghi manipolano, accentuano o ribaltano quei rapporti ordinari che pure rispecchiano e/o negano, il circo come luogo altro, è una naturale forma altra della società che la produce, che a volte la rigetta ma non può fare a meno di generare.

Marco Mannino