Uno spettacolo (quasi) perfetto che qualche numero acrobatico in più renderebbe un piccolo gioiello

“Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale mano, quale immortale spia
Osò formare la tua agghiacciante simmetria?”

Ripensando al nuovo spettacolo del Circo Americano della famiglia Togni, mi sono tornati in mente questi immortali versi di William Blake.

Immaginate una gabbia al buio. Solo una flebile luce delinea i contorni sinuosi degli animali che entrano silenziosi nella gabbia e balzano sugli sgabelli. Improvvisamente, una luce fredda, bianca, dal basso, illumina fugacemente otto tigri sedute. Poi, le luci si accendono, piene e calde, e scroscia l’applauso del pubblico, ma quell’istante resta indelebile, impresso nella mente: le tigri che si rivelano nel buio, con la loro agghiacciante simmetria.

Bruno Togni ha ventitré anni. Sembra ancora un ragazzo, ma è già un ottimo domatore e penso che in futuro ci regalerà grandi soddisfazioni, anche in questo difficile periodo storico, dove la sua arte è così spesso stigmatizzata e criticata.

La sua esibizione si è caratterizzata per eleganza e bellezza: lo spettacolo non è stato quello del domatore che sfida l’aggressività delle belve, che gioca con il fuoco della natura; tutto mi è parso teso a valorizzare la bellezza delle tigri e la grazia dei loro movimenti. Forse solo il finale, certamente classico (ma se vogliamo anche un po’ kitsch), con due tigri a roteare su globi luminosi, ha leggermente incrinato quell’atmosfera di grande armonia e rispetto. In ogni modo, chapeau!

Ma veniamo al resto dello show.

La famiglia Togni ha dato uno spettacolo di buona qualità tecnica.

Non tedierò il lettore soffermandomi su ogni singola esibizione, ma sicuramente sia gli spettacoli equestri, dove Flavio Togni regna sovrano, che quelli di giocoleria, sono stati ben fatti e degni di apprezzamento.

Molto bravo anche il Duo Caveagna, che si è prodotto in un numero con lancio di coltelli e tiri di balestra, dando uno spettacolo emozionante e adrenalinico. Quando il dardo scoccato dalla balestra ha trafitto il pomo appoggiato sulla testa della ragazza, si è sentito all’unisono il sospiro liberatorio del pubblico, che era rimasto con il fiato sospeso.

 

Per completezza e imparzialità annoto anche ciò di cui ho sentito la mancanza: mi è mancata, soprattutto nel finale, l’esibizione di una truppe acrobatica, quel tipo di grande spettacolo che solo un gruppo coeso di bravi acrobati può regalare.

Infatti, tutti i numeri proposti sono stati realizzati da uno o al massimo due artisti; e questa scelta, se si ha l’ambizione di realizzare un grande show, rappresenta per certi versi un limite.

Altra piccola mancanza – si prenda la mia critica come costruttiva – è nell’espediente del sognatore, che è appena abbozzato. Gli spettacoli vengono proposti come fossero sogni straordinari, che si concretizzano davanti agli occhi degli spettatori. Manca però la ricerca dell’elemento onirico nelle scenografie e nelle musiche: per essere sogni, quei numeri circensi sono parecchio reali, non presentano le stranianti atmosfere del sogno. Si tratta in effetti di una forma di ingenuità registica, uno di quegli stratagemmi retorici da non prendere troppo sul serio, tipici nel circo “classico”. Tuttavia, crederci davvero e creare ambientazioni più sognanti avrebbe probabilmente reso lo spettacolo ancora più bello. E già così si tratta di una delle migliori produzioni italiane!

di Armando Talas