Ogni giorno della nostra vita sperimentiamo la sensazione del trascorrere del tempo. Chiunque si soffermi a riflettere sul mistero del tempo può rendersi conto che questa percezione non è perfettamente lineare, ma che incorre in continue variazioni.

La percezione del tempo è stata studiata da psicologi e neuroscienziati per molti anni ed è ormai opinione condivisa che molti fattori possano alterare la nostra esperienza del tempo. Così potremo sperimentare un dilatarsi del tempo durante un congresso noioso, in qualsiasi contesto che non ci interessi ma dove siamo costretti a stare, oppure accorgerci che il tempo vola quando ci divertiamo o siamo profondamente coinvolti emotivamente. In questo breve articolo proverò a delineare i principali meccanismi alla base di queste discontinuità del senso del tempo, che hanno insospettabili ricadute nel mondo del circo, perché l’uggia e la noia possono decretare il fallimento di uno spettacolo, mentre una percezione del tempo che vola, lontanissima dalla monotonia, può determinarne il successo.

Questo discorso è intrecciato con un altro tema fondamentale, quello della memoria, già trattato nel breve saggio titolato “Il circo, l’oblio e la persistenza della memoria”, e in parte lo completa.

Per prima cosa una curiosità: l’età influenza la percezione del tempo. Sul senso del tempo nei bambini lo psicologo svizzero Jean Piaget ha scritto uno studio memorabile. I bambini iniziano a essere ben coscienti del tempo dai tre ai quattro anni, e del futuro prima che del passato. I bambini imparano a dire “domani” prima di “ieri”, perché “ieri” presuppone lo sviluppo cerebrale dei centri della memoria, che non è sempre simultaneo con quello del tempo. Quando cresciamo e invecchiamo questi meccanismi cambiano ancora. L’accelerazione del senso del tempo passato nell’età avanzata è un fenomeno quasi universale: dopo una certa età, il tempo passato sembra esser trascorso in un lampo, mentre quello della quotidianità rimane relativamente costante.

Tornando al presente, ai fattori che possono essere modificati, troviamo che l’eccitazione e l’attenzione, ovvero lo stato di attivazione del nostro cervello, influenzano sensibilmente la nostra percezione del tempo. Per esempio, i risultati di alcuni studi indicano che la percezione di espressioni facciali paurose o altamente emotive, aumentando il livello di eccitazione cerebrale, accelera il nostro orologio cerebrale, che è alla base della rappresentazione del tempo. Questo cosa comporta? Che durante un numero circense altamente adrenalinico o profondamente emotivo il tempo vola. Poi la nostra memoria mette a posto i tasselli e fa ordine: il ricordo resterà ben impresso, e ci sembrerà perfino che l’esperienza sia durata a lungo, ma solo a posteriori.

L’obiettivo di ogni spettacolo circense che si rispetti è creare negli spettatori divertimento ed emozioni, ovvero evitare assolutamente la noia e favorire la costruzione di un ricordo positivo, perfino di una “memoria poetica”. Per ottenere questo risultato è strettamente necessario considerare la percezione del tempo dello spettatore.

Nel mondo del circo abbiamo molte variabili di tempo. Per prima cosa c’è la durata complessiva dello show. Esistono spettacoli di molte ore, con uno o più intervalli, e spettacoli completi che durano una manciata di minuti; i primi rischiano di sfinire gli spettatori, di saturarli emotivamente e sfiancarli fisicamente, i secondi di lasciarli inappagati. La durata di uno spettacolo è un elemento fondamentale: può decretarne il successo o il fallimento.

Nel circo classico il susseguirsi dei numeri, uno dopo l’altro, scandisce il tempo come un metronomo, lo frantuma. Ogni numero è una singola esperienza, poi c’è una pausa, generalmente passata dallo spettatore a osservare i cambiamenti che avvengono in pista, e inizia il numero successivo. Nel circo contemporaneo spesso non ci sono vere e proprie interruzioni, ma i cambi di scena possono comunque scandire il tempo e frantumarne la percezione.

Una regola generale tramandata dalla tradizione è che i tempi morti, forieri di uggia e noia, vadano il più possibile limitati. Questo nella storia del circo era il compito dell’augusto di serata, ovvero del clown che aveva l’obiettivo specifico di intrattenere il pubblico tra i numeri che richiedevano pause prolungate. Non è da escludere che questo principio generale, senz’altro valido, oggi possa essere portato all’estremo: assistiamo sempre di più nel circo contemporaneo alla costruzione di esperienze totalmente immersive per gli spettatori, dove i tempi morti sono quasi del tutto azzerati.

Un’altra regola tradizionale ampiamente applicata nel circo classico è basata sul contrasto nella successione dei numeri: ogni numero deve essere dissimile dal precedente, in modo da non stancare lo spettatore e mantenere alta la sua attenzione. Così, per esempio, a un numero adrenalinico dovrà seguire un numero leggero e divertente, per stemperare la tensione. Questo accorgimento si traduce in una successione di sensazioni cangianti per lo spettatore, ma anche in una frammentazione della sua percezione del tempo, che inevitabilmente vedrà alti e bassi. Così può capitare il desiderio che un numero abbia fine, così da godere al più presto del successivo. Negli spettacoli narrativi, dove gli spettatori seguono una vicenda più o meno delineata, questo problema non sussiste. Tuttavia, se non c’è un pieno coinvolgimento emotivo, può essere che la mancanza di pause e la lunga persistenza dei quadri tematici finisca per annoiare lo spettatore e dilatarne la percezione del tempo. “Non finiva più” è l’espressione che ogni regista o produttore dovrebbero più temere al mondo.

Gli spettacoli circensi di successo, che seguano o meno un fil rouge, sono sempre altamente cangianti dal punto di vista emotivo. In generale possiamo dire che se il filo narrativo diventa un legaccio troppo stretto o se una determinata formula implica una palette di colori emotivi troppo ristretta e ripetitiva, la monotonia è dietro l’angolo e la percezione del tempo degli spettatori può dilatarsi a dismisura.

In conclusione, non esiste una formula segreta, scientifica, la pietra filosofale del successo, ma è certamente necessaria una ricerca costante sugli elementi temporali dello spettacolo e sulla loro alchimia. Trovare le chiavi percettive del tempo, saperne cavalcare le onde, può essere considerata una delle sfide artistiche più ardite del presente.