Intervistare Roberto Bianchin per me è come per un giovane calciatore poter fare domande a Maradona. Si oscilla continuamente tra la voglia di star ad ascoltare tutto ciò che un personaggio di questo tipo può raccontare e il voler affrontare alcuni temi meno accomodanti per capire se ‘anche lui la pensa come me’. Lo raggiungiamo per farci raccontare come è nata la sua ultima creatura, il CircoTeatro Gerolamo, quali sono gli ingredienti che mette nel cucinare questa ricetta appassionata e raffinata e cosa dobbiamo aspettarci dalla prossima edizione. Anche quest’anno Circusnews sarà Media Partner dell’evento, e anche di questo gli chiederemo il perché. Buona lettura.

1) Buongiorno, perché il buon Roberto Bianchin invece di godersi la pensione ha deciso di stravolgere un piccolo e meraviglioso teatro in centro a Milano e farci venire alcuni tra i più importanti artisti di circo europei?
Buongiorno a lei, agli amici di Circus News, ai lettori. Per chi fa un mestiere d’arte (e la scrittura lo è senz’altro), la parola “pensione” richiama solamente i dolci giorni d’infanzia alla Pensione Miramare, dato che pratico giornalismo e letteratura dal 1970 (25 anni da inviato speciale e 15 libri fra romanzi, racconti, liriche e saggi), e la direzione artistica dal 1981 (oltre 500 titoli fra Italia, Europa, Usa, Africa). Potrebbe sembrare vanteria, ne convengo. Lo dico solo per rispondere, visto che me lo chiede, su quella che è stata e sarà la vita che mi sono scelto. Quanto al Teatro Gerolamo, di cui ho ideato la riapertura dopo 33 anni di abbandono, e dove sono stato, dal 2015, il primo direttore artistico (questa sì che è vanteria), l’idea di trasformarlo in un circo mi era venuta fin dal primo giorno in cui vi avevo messo piede. Per vari motivi non era stato possibile realizzarla durante il mio mandato. Grazie alla disponibilità della Proprietà, un’importante quanto riservata famiglia milanese di imprenditori e mecenati, ci sono riuscito adesso.

2) Quali obiettivi ti sei dato quando hai dato vita al CircoTeatro Gerolamo?
Fare un Circo dell’Ottocento in un Teatro dell’Ottocento. Questa la sfida. Riannodare i fili della storia, fare il circo prima del circo. E rievocare l’epopea in cui in tutta Europa gli spettacoli di circo, prestigiosi, raffinati ed eleganti, si svolgevano nei teatri più importanti, dove le platee, liberate dalle poltroncine, diventavano vere e proprie piste di circo dove correvano anche i cavalli. Storie straordinarie, di cui si è persa in buona parte la memoria. In questo senso, più che di uno spettacolo, si può parlare di un vero e proprio progetto culturale, volto a recuperare e divulgare quella cultura circense –un patrimonio sterminato- che da qualche tempo appare vistosamente appannata.

3) Quando terminata la scorsa (e prima) edizione, è calato il sipario sull’ultima serata e sei andato a dormire, dopo la fatica e la grande soddisfazione per il successo riscontrato, che sensazione hai provato?
Un certo stupore. C’erano molti timori alla vigilia per un’operazione che presentava alti margini di rischio e non pochi problemi tecnici. La professionalità di un eccellente regista come Paride Orfei e di un cast artistico d’eccezione ha permesso un risultato finale straordinario: sold out e standing ovation a tutti gli spettacoli. Siamo molto contenti per aver creato un evento circense nuovo, e soprattutto diverso, che ha incontrato il favore del pubblico e della critica più attenta. Non succede di frequente.

4) Come si riesce a dare vita ad uno spettacolo classico (ma non vecchio), tradizionale e moderno allo stesso tempo?
Cominciando con l’abolire queste categorie. Abbattendo i confini, e aprendo le porte alla confusione dei linguaggi, al meticciato culturale, alla contaminazione dei generi. Il “mio” circo è un circo adulto, che sposa le arti circensi della tradizione alla drammaturgia e ai linguaggi della commedia dell’arte, delle antiche momarìe, del teatro di strada, del canto e della recitazione, della musica e della danza. Non m’importa nulla se viene definito circo tradizionale o circo contemporaneo. Conosco ottimi circhi tradizionali e ottimi circhi contemporanei. Ma conosco anche pessimi circhi tradizionali e pessimi circhi contemporanei. La differenza, a mio avviso, la fa la qualità di quello che metti in scena. Le idee che hai in testa o che non hai. Se uno spettacolo è fatto bene o è fatto male, se ha un senso di esistere, se profuma di cultura o puzza d’imbroglio, se regala emozioni o se annoia mortalmente, se vale la pena di pagare un biglietto per andare a vederlo.

5) Mi racconti un momento particolarmente emozionante della scorsa edizione?
Vedere l’apprensione dipinta sui volti degli artisti più giovani nei camerini prima di andare in scena (avevamo alcuni allievi della scuola del “Piccolo Circo dei Sogni”), e la tensione sciogliersi negli abbracci dopo gli applausi finali, è stata l’emozione più intensa.

6) Hai da sempre un occhio di riguardo per la grande clownerie. Credo che il clown, inteso a 360 gradi e in tutte le sue molteplici forme, abbia, in ogni epoca, ricoperto un ruolo chiave di coscienza critica della società. Il giullare di corte era l’unico a poter prendere in giro il Re (con il rischio di perdere la testa). Non a caso durante il periodo più buio della nostra storia, ovvero durante il nazifascismo (ultimamente meglio essere chiari), la comicità e l’ironia vennero per gran parte vietate dal regime. Quale è la differenza tra un clown ed un comico? Cosa significa essere clown nel 2024? Quali sono gli schemi da rompere e quali gli strumenti da utilizzare?
La figura del clown è il miglior antidoto alla stupidità del mondo, alla prepotenza dei potenti, all’idiozia delle guerre. “Il clown è il solo a possedere il potere illimitato della creazione”, sosteneva Tristan Rémy, uno dei massimi storici del circo (“Les Clowns”, Editions Grasset & Fasquelle, 1945). Ed è un potere formidabile. La sua ironia e la sua satira possono essere micidiali. Il suo sberleffo fare più male di una cannonata. Il clown fa paura perché è libero, è anarchico, inafferrabile, rompe tutti gli schemi, si fa beffe di chiunque. Perché non ha riguardi per nessuno. Perché sta con gli ultimi. Perché è la nostra coscienza. Il nostro riscatto. Perché dice e fa quello che spesso noi non abbiamo il coraggio di dire e di fare. E’ il nostro angelo custode. Per questo adoro i clown (certo, mica tutti…). Quanto al
comico, non c’è paragone. Sono arti diverse. Il comico è un attore che recita la parte del comico. Il clown, no. Il clown non recita la parte del clown. Il clown è clown. E basta. Il clown nasce clown. E può racchiudere in sé, se ne è all’altezza, anche l’anima drammatica oltre a quella comica. Chi sa far ridere è capace anche di far piangere. Molto difficile il contrario.

7) Come hai scelto i tuoi compagni di viaggio in quest’avventura?
Io vengo dal teatro, dalla scuola della commedia dell’arte “A l’Avogaria”di Giovanni Poli (a Venezia, esiste tuttora), ho collaborato con grandi registi teatrali come Maurizio Scaparro e Damiano Michieletto, e per 16 anni ho diretto il gruppo più celebre e più irriverente del Carnevale di Venezia, quello della Compagnia de Calza “I Antichi”. Per gli spettacoli di circo ho lavorato con il più grande regista circense italiano, Antonio Giarola, due volte sul podio di Montecarlo. Per il Gerolamo, dovendo entrare nella storia del circo, mi sono affidato a una celebrità che appartiene a una famiglia che ha scritto la storia del circo: Paride Orfei, il figlio di Nando. Lavoravamo già assieme fin dalla prima edizione dell’evento più innovativo degli ultimi anni, l’International Salieri Circus Award, diretto, guarda caso, proprio da Antonio Giarola. La collaborazione con il Maestro Orfei e lo splendido staff della sua Academy, da Sneja Nedeva a suo figlio Cristian, acrobati di assoluto valore, è stata fondamentale per la buona riuscita dello spettacolo. Non solo. Darà anche nuovi frutti, come il Memorial Nando Orfei, in programma nel decennale della scomparsa a Peschiera Borromeo, dal 19 al 28 aprile, e poi un altro tuffo nella storia con il “Cirque Napoleon” all’Isola d’Elba.

8) Sei andato in un teatro, senza animali feroci, e hai come media partner Circus News. Non ti sembra di esagerare?
Non ci sono animali, né feroci né mansueti, semplicemente perché questo spettacolo non li prevede. Non sono contro l’impiego degli animali negli spettacoli. Non potremmo più vedere nemmeno i film western. Sono stato il primo, una ventina di anni fa, insieme ad Antonio Giarola, a portare un cavallo in carne ed ossa, un meraviglioso purosangue montato dal celebre maitre écuyer Mario Luraschi, a compiere le sue evoluzioni nientemeno che sul palcoscenico del Gran Teatro La Fenice, dopo aver attraversato tutta la platea tra due ali di folla stupefatta. Ne ha parlato tutto il mondo (altra vanteria), e gli spettacoli della “Cavalchina”, così si chiamavano, sono stati replicati per anni. Sono, piuttosto, contro chi maltratta gli animali. Esistono le regole, le leggi, i controlli, le denunce, le condanne, le multe, i sequestri. Si puniscano i colpevoli con la massima severità.

Quanto agli “animali” dello Zoo di Circus News, se li ho scelti come Media Partner, qualche motivo ci sarà: il primo è che si tratta di una testata giornalistica, e questa è un’importante garanzia. Poi, una certa affinità d’intenti (anche se spesso non ne condivido le opinioni), il loro andar
controcorrente, la voglia di stimolare dibattiti, l’assenza d’ipocrisia e di retorica, nessuna paura nell’accendere fuochi nella notte.

9) Tu hai, sulle tue larghe spalle, un’importante carriera nel mondo del giornalismo (non solo circense). Cosa deve fare oggi una testata giornalistica di settore? Quale deve essere il ruolo della critica e a che costo?
Sono stato allevato, come giornalista, da un fuoriclasse come Eugenio Scalfari, che mi diceva: “quando ti vedono, ti devono temere, perché sanno che non ti possono comprare”, e uno dei miei maestri è stato un altro mostro sacro come Giampaolo Pansa, secondo cui il buon giornalista deve fare “il cane da guardia del cittadino”. Nel senso che deve abbaiare ogni volta che sente dei passi che si avvicinano al pollaio. Il più delle volte abbaierà invano, ma di sicuro non se ne starà zitto quando i ladri di polli entreranno per davvero. Questo per dire che il buon giornalista non deve
guardare in faccia nessuno, non deve essere amico di nessuno, non deve fare favori a nessuno, non deve chiedere permesso, non deve avere riguardi, né scrupoli né remore, e non deve preoccuparsi se quello che scrive può far piacere o dispiacere a qualcuno. Il buon giornalista –inteso come cronista non deve tacere né nascondere nulla, deve scrivere sempre tutto quello che vede e tutto quello che sente. L’editorialista, anche quello che pensa. Questo è anche il ruolo della critica, di settore e non.
Libera, sempre, comunque e ad ogni costo, di esprimere il proprio pensiero, qualunque esso sia, purché nel rispetto delle persone e delle opinioni degli altri. Pensarla diversamente non può rappresentare un problema. Al contrario, è una ricchezza. Personalmente, ho imparato molto di più da chi la pensava diversamente, che non da chi aveva la mia stessa opinione.

10) Fare circo oggi in Italia, permettimi la citazione di Gaber, ‘è come in una fredda giornata d’inverno, farsi addosso una pisciatina per sentire un po’ di teporino’: È impossibile competere che le straordinarie produzioni del Soleil, è difficile smarcarsi dal sottobosco delle decine di circhetti (Orfei e Orfeini) che mettono in pista gente vestita da topolino o dinosauri per attirare qualche bambino, è difficile inserirsi in una scena contemporanea italiana chiusa e ormai giunta al tramonto per evidenti limiti di età e intuizioni artistiche. Insomma, in un momento storico culturale dove la parola circo ha un significato dispregiativo (il circo della politica ed espressioni simili), perché la scelta di utilizzare la parola “circo” per uno spettacolo/festival fatto in teatro?
Semplicemente perché credo nella forza e nella cultura del Circo, quello con la maiuscola, quello di qualità, e in questa occasione voglio fare e faccio uno spettacolo di circo, con tutti gli elementi tipici del circo. Che poi in questo caso lo faccia in un teatro anziché sotto uno chapiteau, è solo per il piacere, e il divertimento, di un festoso ritorno alle origini, oltre che per entrare in sintonia, in punta di piedi, con un luogo magico che profuma di storia come lo splendido Teatro Gerolamo. E comunque il circo cambia. Cambia come cambia il mondo, come cambiano altre forme di
spettacolo. In questa fase storica sta vivendo, e non solo in Italia, un periodo di transizione. Le grandi produzioni, con l’eccezione del Soleil, non esistono più, le grandi famiglie storiche si sono rarefatte, i circhi itineranti stanno scomparendo per lasciare il posto a produzioni stagionali (circhi di Natale, arene estive), in compenso proliferano i festival (troppi e spesso mediocri), e si fa circo, o qualcosa che gli somiglia, in tanti luoghi, nei teatri, nei palasport, nei parchi di divertimento, nei villaggi turistici, nelle convention aziendali, nelle piazze, nelle feste di palazzo. L’offerta è
variegata, anche se non sempre degna: circhi tradizionali e contemporanei, con gli animali e senza, circhi per bambini e per adulti, circhi poetici e circhi erotici, circhi heavy metal e di musica sinfonica, circhi del Settecento e del Duemila, circhi gay e circhi di sole donne e di tutti nani.

11) Tutto questo non rischia di snaturare il circo?
Da periodi d’incertezza come questo, prima o poi, come è sempre accaduto nella storia, potranno uscire molte sorprese. Anche piacevoli. Qualcuno sparirà, e non vi sarà motivo per rimpiangerlo, come i falsi Orfei, come i furbetti dei circolini. Ma potranno nascere, e certamente nasceranno, nuovi stimoli. Nuove idee. Formarsi nuove sensibilità. Crescere nuovi spettacoli. Tutti i periodi di crisi, alla fine, possono a sorpresa generare nuove meraviglie. Tristan Rémy piangeva la morte del
circo già più di mezzo secolo fa (“Il mondo del circo non esiste più… il circo non ha più nessun significato nell’attuale società”, diceva a Federico Fellini nel film “I Clown” del 1970). Personalmente preferisco iscrivermi al club del Principe Ranieri e celebrarne il rinascimento. Il circo cambierà, certo, vivrà sotto altre forme, avrà altre storie, altri scenari, altri profumi. Ma il sorriso di un clown resterà il sorriso di un clown, come il salto mortale di un acrobata resterà il salto mortale di un acrobata. E se sapranno emozionarci ancora, in quel preciso momento avremo raggiunto la certezza assoluta che il circo continuerà a vivere. E ad avere un posto importante in fondo ai nostri cuori.