Colorno, ore 22:40. Arrivo tardi, trafelato, appena uscito dal precedente spettacolo, finito una manciata di minuti troppo tardi per vedere l’inizio del successivo.

Mentre procedo a passo di marcia mi viene raccontato in poche parole l’inizio di “MDR”, lo straordinario spettacolo della compagnia “Los Galindos”: pare ci siano tre clown in fuga per le vie cittadine, nel panico, perché un ignaro spettatore è morto dal ridere. Proprio così: defunto, kaputt, stecchito! Un omicidio colposo, forse persino intenzionale, addebitabile a uno dei tre sventurati clown.

Arrivo in uno slargo dove la folla è accalcata. Un clown dal volto bianco apre un cancello e fa entrare il pubblico. Mi accomodo, come molti altri, su un secchio di plastica al contrario; alcuni si mettono su delle assi, altri forse si siedono a terra.

Poco distante sorge un cantiere clownesco, con betoniera, impalcatura, utensili e persino un bagno chimico. In scena i tre protagonisti di questo viaggio nella grande clownerie: Melone, accusato di omicidio, Martedì, suo amico fraterno, e Rossinyol, il temibile clown bianco che si ergerà a accusatore e giudice supremo.

Tutto inizia con un furioso alterco, dove Rossinyol, collerico, scaraventa contro Melone, causa della rovina del gruppo, vari oggetti di scena; il poveretto schiva, si ripara e, dopo numerose peripezie, riesce a placare il suo aggressore chiedendo un giusto processo, un tribunale di clown.

Rossinyol entra nel bagno chimico per prepararsi, mentre i due clown amici si congratulano a vicenda per l’ottima risoluzione del caso, certi dell’assoluzione. Poi il temibile clown bianco esce dal camerino-cesso, agghindato come un giudice da cantiere, con un telo da imbianchino come tonaca; batte un martello enorme per far tacere l’imputato e il suo amico, eretto a improbabile e maldestro avvocato difensore, fino a condannare implacabilmente Melone a morte.

Seguono una serie di ottime gag dove il povero Martedì, che vuol mostrare all’amico come ci si impicca, finisce appeso e quasi strozzato al suo posto. La scena è impressionante, con il corpo di Martedì esanime, appeso alla forca improvvisata. Quando il poveretto apparentemente morto (o resuscitato) si riprende, vengono escogitati altri fantasiosi modi per uccidere Melone.

Lo show si fa a tratti splatter, con motosega, sangue finto e l’accidentale decapitazione del giudice Rossinyol. L’imputato e il difensore finiscono a giocare a palla con la testa mozzata del giudice, che tornerà miracolosamente riattaccata al corpo del proprietario, un redivivo Rossinyol con alcuni transitori problemi di stabilità del capo e raucedine.

La furia dello spettacolo non si placa, e la morte messa in farsa continua nelle sue sconvolgenti luci e ombre, con Rossinyol fatto deflagrare nel cesso chimico con il gas, oppure con Melone cucinato dentro la betoniera nell’estremo tentativo d’ammazzarlo. Non manca una proposta di crocifissione, considerata “metodo efficacissimo”.

Indimenticabile l’ultimo brindisi alla vita invocato da Melone, fatto con acqua prelevata dal bagno chimico, ma è meglio che io non sveli ulteriori particolari… Sappiate che sarà sempre più forte e scandaloso di quanto abbiate immaginato.

Complessivamente si tratta di grande clownerie, sfrontata, senza autocensure, che sembra catapultata nel presente dal Novecento, secolo dove il politically correct nelle sue accezioni può stupide non esisteva e la libertà d’espressione aveva, in generale, meno limiti rispetto al presente.

Troviamo il tema della condanna arbitraria sancita dalla giustizia degli uomini, della pena di morte, del suicidio per disperazione, della discriminazione.

È clownerie autentica ed estrema, che può impressionare un bambino troppo piccolo o un adulto particolarmente sensibile, ma che parla davvero della vita presente, senza temere nemmeno il tabù occidentale della morte, che finisce per sparire nelle spirali della vita, esorcizzata; la tragedia di Melone si risolve con un profondo senso di fratellanza, che si respira nell’aria e coinvolge tutto il pubblico.

Alla fine, davvero vale sempre la pena di rischiare di morire dal ridere.