Il circo moderno nacque nel 1769 quando il cavallerizzo Philip Astley, sergente maggiore nel quindicesimo dragoni leggeri, appena smobilitato, si ritrovò senza lavoro. In quella situazione di difficoltà e bisogno, iniziò a ragionare su come mettere a frutto i suoi talenti. Sapeva cavalcare, era un ottimo cavallerizzo ed aveva ancora la sua fidata giumenta grigia Gibraltar. E allora cosa fare? Poteva guadagnarsi da vivere col domare i cavalli, oppure insegnare equitazione, invece pensò ad altro. Si presentò una mattina del 1768 sulle sponde del Tamigi, vestito d’una scintillante uniforme, ed iniziò a dare spettacolo in sella. A prima vista non stava facendo nulla di originale. In tanti avevano fatto come lui, prima di lui, anche meglio di lui. Il suo colpo di genio fu tracciare un cerchio, fissando pochi paletti ed una corda, coprire il terreno con della segatura e far lavorare Gibraltar in circolo. Fu un’idea semplice eppure destinata a fare la storia.

Astley aveva capito che far incedere il cavallo al galoppo in un cerchio gli permetteva di sfruttare le forze centripete e centrifughe necessarie ad ottenere l’equilibrio indispensabile per eseguire mirabolanti volteggi. La sua esperienza lo portò a concludere che il diametro ideale del circolo, sia dal punto di vista della sicurezza degli acrobati che della visibilità degli spettatori, era di 42 piedi, 13 metri, una misura che da allora è rimasta invariata. Astley poteva fondere acrobazia ed arte equestre in uno show che traboccava di fantasia, uno spettacolo avanguardistico, mai visto prima.

Le sue prime esibizioni avvennero all’aria aperta, con Gibraltar ed il pony Bibillette, sotto il cielo di Half Penny Hatch, appena a sud del Westminster Bridge a Londra. Sua moglie Patty gli forniva un po’ d’accompagnamento musicale al tamburo, ma si esibiva anche a cavallo. Poco dopo li affiancarono un forzuto di nome Signor Colpi ed il clown Mr. Merryman. Apparvero così delle gradinate e fu innalzato un tendone per accogliere la gente al chiuso, in ogni periodo dell’anno. Ciò conferì ai numeri un’ambientazione più teatrale. I cavalli erano condotti al passo dei minuetti, dei fandango, si sedevano, facevano inchini ed erano il cuore dei numeri di volteggiatori e danzatrici.

Astley, dunque, non fu il primo cavaliere dei suoi tempi a dare spettacolo in strada, ce n’erano molti come lui che, appena tornati dalle guerre, trovarono un nuovo uso per le loro abilità equestri. L’innovazione di Astley fu quella di mettere le acrobazie a cavallo in cerchio, invece che su un lungo rettilineo. Aggiunse, poi, una serie di altri numeri con la collaborazione di altri artisti ed ebbe così tanto successo che Giorgio III lo volle a corte e fu invitato persino ad esibirsi in Francia, davanti a re Luigi XV nel 1772. Così, riuscì ad allestire il suo spettacolo nel cuore di Parigi.

Nel 1794, lasciò il circo e si arruolò volontario nella Campagna delle Fiandre, distinguendosi nell’assedio di Valenciennes e soccorrendo il Duca di York. Ottenne in riconoscimento due cavalli, li vendette e spese il denaro ottenuto per acquistare cibo e coperte per i suoi commilitoni. Con dispiacere seppe che l’anfiteatro era andato in fiamme. Tornò in patria, ricostruì tutto e poté riprendere ad esibirsi il lunedì in Albis del 1795.

Stranamente non chiamò mai il suo show “circo”, adoperò invece l’altisonante nome di Amphitheatre of Equestrian Arts, anfiteatro delle arti equestri. Questa parola fu coniata da Charles Dibdin e Charles Hughes, i suoi rivali, che misero in piedi il Royal Circus, sfruttando l’interesse in voga per l’antichità romana.

Astley morì il 27 gennaio 1814 e fu sepolto nel cimitero di Père-Lachaise, a Parigi.  Lasciò ben diciotto impianti equestri ed un numero indefinito di imprese che da lui avevano tratto ispirazione.