Al botteghino fu un fiasco, gli incassi non coprirono neppure la metà degli investimenti, in Europa le proiezioni furono addirittura vietate, eppure oggi, a novanta anni di distanza, è annoverato tra le pietre miliari della cinematografia, avanguardistica denuncia degli orrori del conformismo benpensante. “Freaks” non è solo paradigma delle monstrosity story, è anche un vero e proprio documento storico, la testimonianza di un’epoca, sociale e circense, con un messaggio ancora attuale.

Tod Brownig narrò una singolare vicenda di gelosie ed avidità in un circo che univa artisti dai corpi sani a “scherzi della natura”, uomini e donne affetti da gravi deformità, raccontò cioè la divergenza, per taluni sconcertante, tra la mostruosità esteriore, e quindi apparente, e quella interiore e per questo vera. Il nano illusionista Hans sposa la perfida trapezista Cleopatra, una bellissima donna “normale” che vuole solo mettere le mani sulla sua eredità e che per questo non esita ad avvelenarlo, ma quando i freaks lo scoprono organizzano la loro orribile vendetta. La trama è lineare, sono gli interpreti a renderla memorabile. C’è l’uomo-tronco, Prince Randian, circense guyanese affetto di tetramelia, ripreso mentre, con le sole labbra, apre una scatola di zolfanelli con una sigaretta in bocca, poi accende un cerino e con esso la sigaretta. C’erano le sorelle Snow – dolcissime nei loro ruoli – e c’era Schlitzie, coi corpi segnati da microcefalia e ritardo. C’erano le gemelle siamesi Daisy e Violet Hilton e c’era il nano Angelo Rossitto, la fascinosa donna senza braccia Frances O’Connor e Johnny Eck, al contrario, provvisto solo di braccia. C’erano i nani Harry e Daisy Earles, Peter “The Human Skeleton” Robinson e Lady Olga, la donna barbuta. C’erano il nano lanciatore di coltelli Jerry Austin, l’ermafrodito Josephine Joseph e Minnie Woolsey affetta dalla sindrome di Seckel, nota anche come “nanismo dalla testa di uccello”.

Grazie a questi artisti, grazie al circo, grazie a questo film si poté compiere un passo in avanti, impercettibile eppure essenziale, verso l’umanità vera.

Daisy e Violet Hilton coi loro promessi sposi in una simpatica scena del film

Ci sono persone che differiscono mentalmente o fisicamente dalla maggioranza. Alcuni sono più alti della media, altri più bassi. Alcuni meno intelligenti, alcuni sono ermafroditi. Alcuni hanno parti del corpo mancanti, altri ne hanno in più. Ci sono diversità, minorazioni, disabilità e c’è stato un tempo in cui tutto ciò spaventava, era fonte di ripugnanza e rifiuto. Questo tempo ha ancora oggi i suoi postumi traumatici, ma se essi vanno scemando, se l’inclusione di persone con disabilità, l’assistenza ai più deboli, il riconoscimento dei loro diritti ed il rifiuto delle discriminazioni si vanno facendo strada, è anche grazie al circo.

Prince Randian accende un cerino e la sigaretta con le sole labbra

Da sempre, infatti, gli spettacoli itineranti hanno presentato al pubblico questa diversità, prima ancora di Tom Norman e Phineas Taylor Barnum. Hanno stupito, scioccato, spaventato perché l’umanità in ogni epoca ha subito il fascino dell’orrido, ma l’unica mostruosità che il circo metteva in mostra era quella dei presunti “perfetti”, dei “buoni”, dei “sani”, degli “eletti”, dei “normali”. La perfezione, infatti, va oltre le malformazioni, la normalità conosce anche la diversità e la compassione è il più alto dei valori. Il circo fu una casa per i ripudiati, fornì loro una famiglia, un reddito, integrazione, amore, vita. Alcuni di essi conobbero matrimonio e figli.

Indubbiamente gli impresari costruirono una remunerativa industria con le esibizioni di chi soffriva vistosi problemi fisici, ma i diversamente abili trovarono nel circo un generatore di solidarietà e opportunità. I parenti in parecchi casi offrivano come alternativa una vita segregata in una stanza, nascosti dal mondo, o tendevano ad abbandonarli, sia per insensibilità, sia perché costi di medici e cure erano insostenibili. Nel circo, invece, queste persone venivano accolte in una nuova famiglia, protette e avviate spesso ad una popolarità inimmaginabile che consentiva loro di raccontare apertamente la disabilità, la malattia, la difficoltà.

“Freaks” parlò di circo e dal circo lanciò un messaggio antidiscriminatorio esplicito che metteva a disagio gli spettatori. Browning li induceva a stare dalla parte dei ripugnanti freaks, sebbene si identificassero con i “normali”, ed in questo naufragio valoriale il regista era abile ad insinuare il tema scottante dell’accettazione della diversità. La missione di questo lavoro non è ancora finita. Il film ha ancora molto da dire, a novanta anni di distanza.