La recensione della nuova produzione targata Arlette Gruss

Aix-Les-Bains è una cittadina francese, circondata dal verde dei monti e affacciata sulle acque profonde del Lac du Bourget. Lo chapiteau dell'Arlette Gruss si vede da lontano, netto e luminoso contro il cielo affollato di nubi, un palazzo errante che si sposta per la Francia, carico di meraviglie sempre nuove.

Dentro, una leggera coltre di fumo, sospesa, appena percettibile, che dà corpo alle luci dei faretti. Poi il buio, e lo spettacolo ha inizio.

Quando le luci si riaccendono sulla pista appaiono i colori sgargianti di costumi da sogno: esseri chimerici, metà uomini e metà animali, molti dei quali sembrano volatili dal becco appuntito, grotteschi, gioiosi ma inquietanti; sopra, sospesa in un cerchio, Alexis Gruss-Biasini, come un regina bambina del circo, o forse una dea del circo, a sovrastare le incredibili apparizioni.

E Alexis, giovanissima, è davvero una piccola regina del circo. Sua la responsabilità di rompere il ghiaccio portando in pista i suoi pony, che ha condotto con sicurezza e maestria; eccezionale, vista l'età, la sua partecipazione al numero di biciclette acrobatiche, realizzato con il fratello Eros e il duo LYD.

Non farò, come mia abitudine, la descrizione di ogni singolo numero (per questo basta leggere il programma), ma cercherò di darvi le mie impressioni, di farvi respirare la magia del circo.

Nel primo tempo, oltre al talento di Alexis, mi ha colpito il numero di forza del Team Street Workout, dove l'unica artista donna, accompagnata da sei uomini, ha rappresentato il deus ex machina dell’esibizione, disintegrando nei momenti salienti lo stereotipato ruolo femminile della donna leggiadra che si fa dominare dalla forza maschile.

Di grande impatto ed estrema qualità, davvero mozzafiato, il numero di barra russa della Compagnia Havana, che ha visto purtroppo l'infortunio – speriamo non grave -di uno degli artisti, il quale è riuscito stoicamente a portare a termine l'esibizione, mostrando grande professionalità ed estrema dedizione alla propria arte.

Il secondo tempo ha rappresentato un crescendo di spettacolarità, toccando alcune vette del Circo d'Arte.

Memorabile il numero di giocoleria innovativa del duo Supka, che ha utilizzato due strutture di vetro, una delle quali conica e sospesa in aria, per far rimbalzare palline luminose in numero sempre maggiore, raggiungendo livelli eccezionali di spettacolarità; notevole anche la mimica dei due artisti, che all'inizio sembravano corpi inanimati, automi dai movimenti meccanici.

Estremo per bellezza il numero di cinghie aeree "osmose aérienne" di Julia Friedrich e Kevin Gruss, che hanno volteggiato in aria con perfetta intesa e armonia, creando un numero di coppia dolce e perfetto, di quelli che scaldano il cuore. Davvero interessante il contrasto con il Duo Rolling Wheel alla ruota tedesca, il cui numero, magnifico e ardito, si caratterizza per sensualità e tensione tra gli artisti. La prima pare una storia d'amore “romantica”, basata sulla fiducia reciproca e sull’affetto, la seconda una storia più carnale, dove esistono anche il litigio e la riconciliazione.

Non bisogna però farsi l'idea che siano mancate leggerezza e risate. Divertentissimi e azzaccati gli interventi del clown André, mai noiosi e dai tempi comici perfetti. Ancora più bravo il clown César Dias, che ha fatto letteralmente piegare il pubblico dal ridere, ricevendo un mare d'applausi.

Altrettanto apprezzato, fino alla standing ovation, Pierre Marchand, giocoliere maestro nell’uso del diablo, che ha utilizzato il suo strumento fino ai limiti estremi del possibile, incantando il pubblico con la sua grande bravura e il suo ardimento.

Forse mi sono dilungato più del solito, ma uno spettacolo come quello dell’Arlette Gruss scatena un turbine di impressioni, e resta impresso in molte sue parti. Non è solo la grande qualità tecnica degli artisti a colpire, ma il prodotto finale nel suo complesso, che è fatto di costumi, luci, musica suonata dal vivo e sapiente regia.

Si tratta di grande arte circense, rara e inestimabile, che mi reputo fortunato d’aver potuto vedere.

 

Armando Talas