In questa settimana Fabrizio Colamartino con la sua rubrica “la figura del clown nel cinema, tra verità della scena e menzogna della vita”, ci parlerà di alcuni personaggi di grande spessore: Totò e Pasolini; Tati e Lewis.

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Totò e Pasolini: un clown al servizio dell’intellettuale

Quanto sia importante la figura del clown all’interno di un’economia narrativa che voglia mettere in evidenza il ruolo della diversità nella società, nonché di un sistema della rappresentazione che cerchi di evidenziare gli aspetti paradossali della condizione umana, è evidente prendendo in considerazione alcuni dei film di un regista come Pier Paolo Pasolini, quanto mai distante dalle forme e dai temi del cinema di Fellini, ma come lui alla ricerca di un sistema simbolico attraverso il quale far emergere una verità che vada oltre l’evidenza del dato reale. Si tratta di quei film in cui Pasolini utilizza Totò, colui che nel cinema italiano ha meglio interpretato il ruolo destabilizzante del clown all’interno della società, arrivando a creare un personaggio che resterà tale di film in film, fino a divenire una vera e propria maschera. Totò è, come Chaplin e Keaton, un altro rappresentante di quella generazione di attori cinematografici provenienti dal teatro comico (in Italia l’avanspettacolo) che si riallacciano alla tradizione antichissima dei mimi, dei buffoni, dei saltimbanchi, delle maschere della commedia dell’arte: è un Pulcinella che sovverte ogni situazione, distorce e deforma i comportamenti cosiddetti normali per evidenziarne l’inconsistenza, persino in quei film corrivi e commerciali che gli resero ostile tutta la critica cinematografica italiana.

In Uccellacci uccellini e in La Terra vista dalla luna (episodio di Le streghe) Pasolini recupera proprio quelle caratteristiche presenti nel personaggio creato da Totò agli inizi della sua carriera cinematografica: si tratta di un sottoproletario ingenuo, privo di quell’aggressività e di quella viltà che compariranno con il progressivo imborghesimento del personaggio. Una figura candida e inconsapevole, dunque, ma funzionale per portare avanti una critica feroce verso le istituzioni italiane (a incominciare da quelle verso le quali il regista si sentiva più vicino, ovvero la Chiesa cattolica e il Partito comunista) incapaci di indirizzare realmente la società italiana verso un cambiamento positivo, anzi protagoniste di quello che l’intellettuale friulano non esitava a definire come un vero e proprio genocidio culturale ai danni del proletariato, la cui unica forma di evoluzione nel tempo pareva potesse essere economica e non culturale. Non è affatto un caso che in tutti e tre i film il regista abbia affiancato al comico partenopeo un attore preso dalla strada come Ninetto Davoli, un personaggio più che un attore, vera e propria maschera egli stesso, ingenuo e trasognato figlio delle borgate romane.

L’uso della maschera di Totò da parte di Pasolini giunge forse nel momento di maggiore delusione dell’intellettuale friulano nei confronti della società e della cultura italiana: la favola dolce e crudele che mette in scena muovendo i fili di una marionetta in carne e ossa – Totò – al tempo stesso ingenua e volgare, è un tentativo di allontanarsi dalla rappresentazione diretta di una realtà che non può essere messa in scena per quello che è, ed è il sintomo del bisogno di trasfigurare poeticamente un universo che solo attraverso la stilizzazione della comica finale può – forse – trovare un senso.

In Che cosa sono le nuvole? (episodio di Capriccio all’italiana) Pasolini ridurrà il personaggio interpretato da Totò a una vera e propria marionetta (pensante e parlante), melanconica e surreale, che, ormai inservibile, viene gettata tra i rifiuti. In questo caso il clown diventa protagonista di riflessioni filosofiche di stampo pirandelliano: le marionette della compagnia si ribellano a una messa in scena sempre identica per reclamare una vita vera, decidono di rinunciare alla necessità dell’arte per rischiare l’aleatorietà dell’esistenza reale. «La verità si sente dentro» ma «non si deve nominare, perché altrimenti scompare», risponde la marionetta Iago (interpretata da Totò) alla marionetta Otello (interpretata da Ninetto Davoli) che gli ha chiesto significativamente se la verità stessa sia insita in ogni essere o, al contrario, sia qualcosa che proviene dagli altri, nel suo caso specifico dal pubblico.

Ancora una volta il clown (o qualcosa che gli si avvicina molto) è figura che smaschera la realtà di una vita sempre uguale a se stessa (quella della finzione scenica, certo, ma anche quella di tutti coloro che vivono un’esistenza irreggimentata) per rivelare una verità superiore o, per lo meno, per offrire un barlume di lucidità, un sussulto di folle consapevolezza.

Tati e Lewis: il bianco europeo e l’augusto statunitense

È evidente, a questo punto, come il clown, apparentemente chiuso in un suo mondo autosufficiente, incarni una figura profondamente critica nei confronti della società e delle regole che la contraddistinguono: tutti gli esempi cinematografici fin qui portati avvalorano una funzione del pagliaccio, del buffone, del fool, volta a fare emergere gli aspetti dell’animo umano più contraddittori ma, soprattutto, la difficoltà di ridurli a un agire conforme alle regole sociali. Non è un caso che, i tre registi fin qui citati (Chaplin, Fellini, Pasolini) sia pure in maniere diversissime avessero un atteggiamento profondamente critico nei confronti della società e, soprattutto, della sua spontanea tensione verso la modernità, il nuovo, il cambiamento, spinti da una presunta razionalità (quella del bianco, puntualmente ridicolizzata e demistificata dall’augusto).

Impossibile, dunque, non prendere in considerazione una delle figure di comico più singolari e appartate del secondo dopoguerra, ovvero Jacques Tati. Con Keaton, Tati condivide una logica demistificatoria nei confronti di un mondo apparentemente ordinato e razionale ma che nasconde, in realtà, mille insidie. Al di là del successo di pubblico e della capacità di creare un’aura mitica attorno al personaggio (di certo superiori in Chaplin), il cinema di Keaton risulta molto più moderno di quello chapliniano, ancora legato a una concezione patetica del rapporto tra individuo e società: attraverso i meccanismi perfettamente geometrici delle strutture (anti)narrative architettate per le sue comiche e il suo personaggio privo di un vero approfondimento psicologico, “l’uomo che non rideva mai” aveva messo in scena, precorrendola, l’alienazione dell’uomo nella società meccanizzata. Allo stesso modo, il personaggio di Monsieur Hulot, creato da Tati nel 1953 (appare per la prima volta in Le vacanze di monsieur Hulot), attraverso la sua comicità surreale e sospesa mette in evidenza il disagio dell’individuo semplice e senza pretese di fronte a una società che tende a standardizzare gli spazi, il tempo, i rapporti umani. Certo, quella di Tati non è una maschera propriamente clownesca, la sua gestualità non è eccessiva e le situazioni non vengono portate all’estremo della comicità, ma il suo ostinato mutismo, la sua maschera fissa (costituita da impermeabile spiegazzato, pipa, ombrello, pantaloni troppo corti, calzini a strisce e cappello a cencio), la sua funzione di testimone perplesso e lunare di fronte all’ottusità del prossimo ne fanno il campione di una comicità stilizzata che ben si accosta a quella assurda della clownerie, in particolare all’aplomb del classico bianco.

Tutto il contrario può dirsi per, autore e protagonista di una serie di pellicole che, a cavallo tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, riprendendo l’insegnamento dei grandi comici del passato, facevano il verso a un’America in fortissimo, repentino cambiamento, mettendo in evidenza le frustrazioni, i complessi e le illusioni dell’uomo medio. Ancora una volta lo scontro è tra la realtà del proprio essere, spesso inadeguato, e il desiderio di conformarsi a dei modelli imposti dall’alto. Lewis, tuttavia, a differenza del personaggio-osservatore costruito dal più maturo Tati – che opera negli stessi anni e con il quale condivide la critica della presunta superiorità della società moderna – produce una figura grottesca dalla mimica facciale incredibile, sempre travolta dagli eventi che, puntualmente, si abbattono su di lui come cataclismi. Lewis è l’augusto del cinema americano del secondo dopoguerra nella misura in cui riesce a opporre all’evolversi delle situazioni soltanto un’azione sgangherata, produttrice di una catena di eventi sempre più catastrofici.

Se nei primi film la critica alla modernità si fissa proprio in questa impossibilità di arrestare le situazioni innescate (ma anche gli oggetti nel senso letterale del termine) con cui ingaggia una battaglia senza quartiere, in un secondo momento l’attenzione di Lewis si concentra sul senso più profondo di questa lotta tra l’uomo per come è e l’uomo per come vorrebbe essere o, meglio, come gli altri vorrebbero che fosse. In film come Jerry 8 e 3/4 Le folli notti del dottor Jerrill nei quali interpreta molteplici ruoli dando sfogo alla propria capacità trasformistica, viene messo in evidenza il meccanismo sociale perverso che impone all’uomo comune una maschera lontanissima dalla propria indole: il fattorino imbranato che viene ingaggiato da un gruppo di impresari di Hollywood ansiosi di farne un comico di successo (Jerry 8 e 3/4) o il goffo scienziato che, per conquistare una ragazza, si trasforma in un odioso playboy (Le folli notti del dottor Jerrill) sono figure patetiche, ossessionate da miti moderni come l’intelligenza e la bellezza alla portata di chiunque.

(continua…)


Un’attenzione particolare merita, in esclusiva, il film che proponiamo oggi e volutamente abbiamo preferito consigliarvi solo questo: vale la pena guardarlo!

 

COME L'ACQUA PER GLI ELEFANTI (Water for Elephants)

USA 2011 – Genere: Drammatico, Sentimentale – Durata: 122’

Regia di Francis Lawrence

Con: Robert Pattinson, Reese Witherspoon, Christoph Waltz, Hal Holbrook, Stephen Taylor, E.E. Bell, Alan Fleury, Mark Povinelli, Paul Schneider, Jim Norton, Richard Brake, Ken Foree, Scott MacDonald, Tim Guinee, Sam Anderson, John Aylward, Brad Greenquist, Kyle Jordan, Aleksandra Kaniak, Ilia Volokh, Jim Jansen, Karynn Moore

 

Trama

Il proprietario di un piccolo circo statunitense, arrivato ad Albany, incontra e soccorre un uomo di 95 anni di nome Jacob Jankowski, che apparentemente si è separato dal pullman del suo gruppo della sua casa di riposo, che aveva recentemente visitato il circo. I due iniziano a parlarsi e Jacob rivela di aver lavorato per molto tempo in un circo e di essere stato presente durante uno dei peggiori incidenti circensi della storia.

Il racconto dell'anziano accadde nel 1931, durante la Grande depressione, quando Jacob aveva 23 anni. L'uomo studiava per diventare veterinario presso l'Università di Cornell di New York. Purtroppo, proprio il giorno del suo ultimo esame, viene informato che i suoi genitori sono rimasti vittime di un incidente automobilistico. Il padre ha lasciato grossi debiti con la banca per pagare l'università al figlio e, non avendo nessun altro parente, al giovane Jacob non rimane più nulla e così fugge dalla sua città saltando sul vagone di un treno in movimento, dove incontra il vecchio Camel.

Solo il giorno dopo Jacob scopre di essere involontariamente salito sul treno del Circo dei Fratelli Benzini e qui i buttafuori lo portano ad incontrare August Rosenbluth, il proprietario e capo addestratore del circo e la sua bellissima moglie Marlena. Dopo che Jacob nota dei problemi su Silver, uno dei cavalli del circo, August decide di assumerlo come veterinario del circo. Jacob esamina il cavallo e riporta che l'animale è affetto da una grave laminite, che presto non gli permetterà più di esibirsi. August però non gli dà ascolto e Jacob, per non permettere che Silver ricevesse altri maltrattamenti, decide di sopprimere il cavallo senza il permesso di August. Questo si infuria per aver ucciso uno dei suoi animali e minaccia Jacob di buttarlo fuori se oserà compiere ulteriori azioni contro i suoi ordini.

Per rimpiazzare Silver, August si procura l'elefantessa Rosie. Questo lo entusiasma e organizza una cena privata invitando Jacob a mangiare con lui e sua moglie. Jacob rimane turbato dalla cena, dove August e Marlena (di cui si è innamorato) amoreggiano e ballano di fronte a lui e scopre che in realtà la loro relazione non è una delle più solide, per via di August che si dimostra possessivo, geloso ed alcune volte addirittura violento nei confronti di Marlena. Nelle settimane seguenti, August si infuria su Rosie non riuscendo a domarla per i numeri del circo, al tal punto che inizia addirittura a picchiarla perché non esegue i suoi comandi. Jacob scopre però che l'elefantessa era stata addestrata in passato da un uomo polacco quindi l'animale comprende solo comandi detti in lingua polacca. Trovata la soluzione, Rosie riesce finalmente ad essere addestrata e si esibisce splendidamente, così il circo gode di un breve periodo di successo. Durante gli allenamenti di Rosie, Jacob e Marlena passano del tempo insieme e si innamorano.

Una notte August scopre la loro relazione e minaccia entrambi crudelmente, così Jacob e Marlena scappano dal circo e si rifugiano in un hotel. La coppia viene però raggiunta dagli uomini-buttafuori di August, che portano via Marlena contro la sua volontà e pestano Jacob. Dopo essersi ripreso dalle ferite subite, Jacob raggiunge il circo alla ricerca di Marlena e quando la ritrova, la donna lo informa che August ha fatto uccidere Camel e Walter, un altro suo amico. Per via degli ordini disumani e crudeli di August, diversi lavoratori del circo decidono di vendicarsi aprendo le gabbie degli animali durante uno spettacolo, scatenando il caos più totale. Jacob entra nel tendone principale e cerca di soccorrere Marlena, ma viene assalito dagli uomini di August, mentre questo si avventa su Marlena cercando di strangolarla. Ma due lavoratori ribelli del circo arrivano ad aiutare Jacob, mentre August viene ucciso da Rosie. Il circo dei Fratelli Benzini fallisce.

L'anziano Jacob finisce il racconto dicendo come lui, Marlena e Rosie abbiano, alla fine della depressione, intrapreso una carriera al Circo Rinling portandosi gli animali che si erano salvati dall'incidente, come lui si sia sposato con Marlena dando alla luce cinque figli e come si siano presi cura di Rosie fino alla sua morte di vecchiaia.

 

arrivederci a DOMENICA prossima (10. continua)

Giuseppe Calarota