Karel Teige, artista e grande teorico dell’arte cecoslovacco, affermò all’inizio del secolo scorso: “Piuttosto che i filosofi e pedagoghi, sono i clown, le ballerine, gli acrobati e i turisti i veri poeti moderni”.

Nezval, sommo poeta praghese, aggiunse: “La nostra arte era vicina ai giocolieri, alle cavallerizze e ai trapezisti piuttosto che ai maghi dei riti religiosi”.

È di fatto esistito un importante movimento artistico che all’inizio del Novecento ha trovato nel circo una straordinaria fonte d’ispirazione: il poetismo.

Si tratta di un movimento letterario e artistico fiorito a Praga tra il 1924 e il 1930, i cui seguaci, rifacendosi al poeta francese Apollinaire e alla pittura cubista, si proponevano di trasformare l’arte in un divertimento fantastico, in una trama di colori e di trucchi, che esprimesse la gioia di vivere dopo le angosce della Prima Guerra Mondiale. Gli artisti del poetismo sono poco noti in Italia, molti non sono mai stati tradotti. Scrive Angelo Maria Ripellino, il più importante slavista italiano del Novecento: “La poesia in versi per i poetisti è soltanto un abbaglio ottico, un tessuto d’immagini, un indovinello, una giostra di parole, priva di qualsiasi preoccupazione ideologica e simile alla danza e alle capriole dei clown”.

Il poeta Nezval non a caso compose, nel 1944, con il titolo Kůň a tanečnice (Il cavallo e la ballerina), un ciclo di poesie che trasportano in quadretti verbali i dipinti ispirati al circo del pittore František Tichý. Sempre Ripellino, grazie al quale abbiamo notizia di questi grandi artisti praghesi, scrive: “Questa pittura, non solo rassembra i personaggi del circo, ma ne trasfonde nella propria sostanza la giocoleria, il virtuosismo sospeso al filo del rischio, il duro drill, il pericolante mestiere, la compiutezza tecnica, i trucchi. Ansioso di liberare del peso le cose pesanti, lo stesso segno si fa giocoliere, balletta come su una corda”. E ancora: “La variopinta vita sotto il tendone attrasse talmente l’inventiva di Tichý da far nascere la diceria che egli avesse lavorato al circo Pindar a Marsiglia… Egli fu amico di attori del maneggio e del varietà, soprattutto di Alberto Fratellini, che ritrasse nel 1937 con le enormi scarpacce e la parrucca rossiccia.”

Aderirono al poetismo i poeti Nezval, Seifert (Premio Nobel per la letteratura nel 1984), Biebl, Halas, Zavada; ma anche registi, attori, pittori, musicisti, coreografi e linguisti. Enumerare tutti gli artisti che operarono nella prodigiosa atmosfera del poetismo esula dagli scopi di questo breve articolo, ma è rilevante sapere che nel passato è esistito un movimento artistico, anche se fuori dall’Italia, che è stato tanto affascinato dall’arte circense.

Ancora più interessanti sono i contributi che il poetismo ha lasciato, la sua eredità culturale, che travalica lo spazio e il tempo.

Chi intende il circo come semplice mestiere, anche se tramandato da generazioni, credo possa trarre poco o nulla dal poetismo. Può essere invece spunto di riflessione per chi considera il circo Arte con la “A” maiuscola, e soprattutto per chi ha un’idea squisitamente poetica del circo. I poetisti avevano una concezione universale della poesia, intendendola come sintesi di tutte le arti; poesia che si manifesta universalmente attraverso parole, immagini, musica, danza, teatro, gesto atletico.

Il circo di oggi, specie nelle sue accezioni più tradizionali, vede troppo spesso una drammatica assenza di poesia, quasi fosse evaporata come fumo dalle piste.

Sono tramontate da decenni le atmosfere grottesche e meravigliose che stregarono Federico Fellini: sempre di più il circo è solo un mestiere duro, magari portato faticosamente avanti da generazioni, ma con poca poesia, perché la poesia va coltivata, come un fiore, e alimentata, come un fuoco sacro. Non che in passato tutto il circo fosse grande arte o poesia: nelle sue forme deteriori il circo è sempre stato intrattenimento a poco prezzo.

Esistono certamente, anche nel nostro paese, forti elementi in controtendenza, ma – va detto – soprattutto fuori dalla tradizione, nei teatri o nei festival internazionali di circo contemporaneo, anche se alcune espressioni poetiche sopravvivono sotto chapiteau.

Viene persino il dubbio che il problema principale di molti circhi in declino si possa ridurre alla morte della poesia. Con la poesia non si mangia. La poesia non ti fa avere le piazze, non ti paga le tasse, non ti cura la tosse! Vero, niente di tutto questo. Le assonanze non hanno mai estinto i mutui. E ai pubblici ufficiali non si può rispondere per le rime.

La poesia è impalpabile, sottile, elusiva. Si sente nell’aria e non si sa nemmeno da dove venga. Semplicemente, almeno per come la vedevano i poetisti, è la vera linfa vitale dell’arte circense: una forza magnetica, inspiegabile, che attira irrefrenabilmente gli occhi e fa battere sommessamente il cuore.