L’ora di Giuseppeppone era giunta, non c’era nulla da fare e, quando il clown se ne rese conto, montò in lacrime. Pianse, gemette, singhiozzò sonoramente. Contrito, guaì in smorfie di sofferenza. Frignò, vagì, disperò. Versò così tante lacrime dalle fontane degli occhi che presto ne nacque una pozzanghera più larga dei suoi piedoni. Addolorato, tirò fuori un fazzoletto e vi strombazzò col naso, servendo poi il panno in dono al poveretto che gli stava dietro in fila. L’uomo, educatissimo, accettò stomacato, lasciando che il pagliaccio gli sistemasse la pezzuola nella giacca.

Sebbene rifiutiamo di assumerne consapevolezza, siamo in fila. Tutti e non possiamo svignarcela. Non c’è nulla da fare. Passeggiamo l’uno dietro l’altro, avanziamo, ciascuno al suo posto, inesorabilmente, in una lunghissima ed eterna fila.

Quello era il giorno in cui Giuseppeppone il pagliaccio doveva fare l’ultimo passo, ma non ne voleva sapere. Cadde una e due volte. Non gli servì. No. Inciampò e fu di nuovo a terra, ma fu inutile. Era in fila, il turno era il suo. Fu vano pure perder tempo nel fingere di dover rimettersi in sesto il vestito ed arrabbiarsi con lo sconosciuto che gli stava dietro perché, a suo dire, lo spintonava. L’uomo non reagì, si mostrò educatissimo e paziente. Giuseppeppone capiva e non voleva capire che certe birichinate erano inefficaci e fuori luogo. Adesso era in una pozza di lacrime e mugolava.

La pantomima fu interrotta da una potente voce: “Giuseppeppone è inutile che continui così”. Il pagliaccio, imperterrito, esasperò le urla di afflizione. “Giuseppeppone muoviti!”. Il pagliaccio, invece, aggravò il piagnisteo e l’acqua gli salì sino alle ginocchia. “Su, smettila di piangere, stai allagando tutto!”. Un pesciolino rosso sbucò sulla superficie della pozza di lacrime e si immerse, disegnando un arcobaleno in dissolvenza. Giuseppeppone seguì la traiettoria stupito, immaginando un’arguzia. Pochi attimi e la voce riprese: “Dunque tu non vuoi morire?”. Il clown fece di no col capo e tirò fuori una minuscola canna da pesca. “Ma se non muori mi blocchi la fila!”. Il pagliaccio fece spallucce e si mise a pescare. “Ascolta… ti conosco bene… con le tue burle hai fatto ridere migliaia di bambini tristi…”. Giuseppeppone assentì e nel frattempo assunse i tratti concentrati di chi è impegnato a pescare. “Con le tue farse hai riavvicinato coppie allo sfacelo”. Giuseppeppone accondiscese, eppure sbuffò come irritato, e la voce riprese a parlare, ma, quando la macchiolina rossa tornò a saltare fugace nella pozza d’acqua, il pagliaccio sbracciò da esagitato e invocò un vistoso “shhhh” con l’indice sul naso perché tutto quel chiacchierare gli stava facendo scappare il pesce. La voce, allora, si attenuò sin quasi a rasentare il sussurro: “Non ne sei a conoscenza, ma hai distolto tanti dal baratro, dai problemi, dalla tristezza… perché lo sai che è importante che ciascuno mantenga il suo posto in questa fila…”. Il pagliaccio lasciò scivolare via quelle parole e, dopo poco, sorrise perché finalmente tirò su il pesciolino rosso, lo  afferrò per la coda e se lo portò nella bocca, divenuta di colpo gigantesca. La canna, allora, si tramutò in uno stuzzicadenti piccolissimo e il clown si accarezzò la pancia soddisfatto. Tuttavia, inatteso, il pesciolino tornò a sbucare saltellante in superficie. Giuseppeppone sbalordito l’afferrò al volo con la mano e lo mangiò, ma il pesce guizzò di nuovo dall’acqua come se nulla fosse. Il pagliaccio lo riprese e lo inghiottì, ma ancora il pesciolino balzò nella pozza. Un pugno nervoso rovinò la superficie dell’acqua, schizzando ovunque gocce di arcobaleno, anche sull’uomo educato che seguiva Giuseppeppone nella fila. Il clown se ne avvide e per farsi perdonare, gli tirò fuori dal taschino della giacca il fazzoletto sporco e gli asciugò il viso per bene. L’uomo, rassegnato all’inopportuna invadenza di chi lo precedeva nella fila, accettò ripugnato. Si udì allora una minuta risata. Giuseppeppone si voltò. Era il pesciolino rosso che lo canzonava.

La voce tornò a far capolino: “Giuseppeppone sei davvero bravo! Un pagliaccino così mi serve assolutamente qui! Ho da affidargli un compito importantissimo”. Per la prima volta la curiosità brillò negli occhi del clown che aggrottò la fronte e si mostrò interessato. “Ho tanti bambini che hanno bisogno di ridere – fece la voce -. Molti sono senza genitori e poi ho tanti genitori sconsolati senza ancora i loro figli. Mi daresti una mano? Ho amici che devono ricordare d’essere amici, persone che devono scoprire l’amicizia, ho da far ridere gente abbattuta dai suoi stessi errori, uomini e donne avviliti per sbagli che non riescono a perdonarsi. Giuseppeppone mi aiuti?”. Il clown divenne serio, una serenità distesa irradiò il suo volto e allora si decise a fare l’ultimo passo, scomparendo.

Pochi istanti dopo una mano riapparve inaspettata, schiaffeggiò la pozzanghera e scagliò il pesciolino rosso sul volto dello sconosciuto educato e mansueto che capeggiava la fila. La voce rimbombò spazientita: “Giuseppeppone!”.