Storicamente il Torino Film Festival – da quest’anno nella versione “pop” diretta da Paolo Virzì e oggi alla sua ultima giornata – ha sempre dato molto spazio al cinema documentario. 
Con grande piacere, quel “lato teatrale” che ho cercato invano durante il Festival di Roma l’ho scovato sotto la Mole, esattamente una settimana dopo, e proprio in questo ‘ambito’. 

Parleremo quindi oggi di due documentari – entrambi presentati nella sezione TFFdoc – su altrettante scuole italiane legate allo spettacolo dal vivo e, per molti versi, antitetiche.

Il primo lavoro si intitola “Grazing the Sky” (“Pascolando nel cielo”) ed è firmato dal regista spagnolo Horacio Alcalá, che segue i percorsi artistici di otto artisti di circo contemporaneo, alcuni dei quali della Scuola di Cirko Vertigo, realtà piemontese coproduttore del film che rappresenta l’Italia in mezzo ai ben più famosi Cirque du SoleilScuola di circo di Bruxelles e altre. 

Il documentario parte da un semplice postulato: “Fino a pochi anni fa, solo se eri cresciuto in una famiglia circense potevi permetterti di studiare questa disciplina. Adesso tutto è cambiato”. 
Il documentario scava quindi nella vita di questi artisti, dalla passione smodata e dal rigore fisico impeccabile, protagonisti del circo contemporaneo. 

Le immagini fanno emergere sia la bellezza del gesto che la complessità delle scelte di vita che questi performer sono costretti a fare. C’è chi lascia l’attività per accudire i figli, chi torna in Palestina per mettere su una scuola propria, chi lavora in gruppo, chi in coppia, chi da solo. C’è chi si infortuna evidenziando l’instabilità – e il conseguente fascino magico – di quest’arte antica che negli ultimi anni si è totalmente rinnovata.
Da un lato il documentario ci mostra infatti come il circo in questi anni sia sempre più uscito fuori dai tendoni andando in strada, sulle terrazze dei palazzi, negli spazi industriali; dall’altro ci insegna che, per farlo, si contamina sempre più con il teatro e la danza, creando personaggi, incontri e drammaturgie. 

Anni di lavoro e un budget importante sono elementi fondamentali per dipingere immagini meravigliose rese filmando corpi tesi, statuari, sciolti e protesi verso il cielo ma allo stesso tempo ponendo la questione sull’importanza della formazione e dei rapporti con le istituzioni.

Il secondo documentario – “Fuoriscena” di Massimo Donati Alessandro Leone– documenta un anno all’Accademia del Teatro alla Scala, la prestigiosa istituzione che da duecento anni forma danzatori, cantanti lirici, costumisti, scenografi e altro ancora. 

Le immagini ci fanno entrare nelle severe aule della scuola di danza, in quelle eleganti dove i cantanti affinano la propria voce, ma anche nelle case degli allievi, spesso in condivisione, fino ai prestigiosi palchi del Piccolo Teatro e del Teatro alla Scala, sedi dei saggi. 
Non manca di certo un velato omaggio a Milano, dinamica città europea che ha l’onore di ospitare l’Accademia e di essere, anche per questo, una delle capitali mondiali dello spettacolo dal vivo. 

Come filo conduttore viene presa la storia di un ragazzino di undici anni, probabilmente al primo anno della scuola di danza, che dalla campagna vicino Bergamo e dalle sue vacche decide con coraggio di tuffarsi in questo mondo che comprende anche dolore, sforzi e voglia di successo. 

“Fuoriscena” evita la modalità dell’intervista, scelta invece da “Grazing the Sky”, per dar spazio maggiormente alla vita extra lavorativa degli allievi; tra questi momenti anche le telefonate intercontinentali degli allievi asiatici e lo stupore per la neve di una allieva brasiliana. 

Come si nota, quindi, due documenti dai soggetti molto diversi seppur con un filo comune: il circo rappresenta la strada più anarchica ma anche più poetica, forse in qualche modo più autentica, mentre il “teatro d’arte” mostra il suo aspetto più rigoroso, tecnico e forse elegante. 
Entrambi riescono comunque a far emergere quella cosa semplicissima ma unica che è la passione, ponendo la giusta importanza anche alla fatica e al dolore, fisico e mentale, confermando in definitiva l’importanza della formazione professionale in un mondo, quello dello spettacolo dal vivo, alcune volte troppo autodidattico e dilettantistico.

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