Al Biografilm festival il documentario dedicato ad Alberto Sforzi, uno dei giocolieri più famosi al mondo. Lo ha girato il nipote Adriano Sforzi tirando fuori i Super8 dello zio

“No zio, oggi non riescono, lo faranno domani”. Adriano Sforzi, regista de L’equilibrio del cucchiaino, è appena arrivato quando il suo cellulare squilla. “Lo so che avevano detto che avrebbero preparato tutto oggi, ma non preoccuparti, lo faranno domani”. Dopo tre o quattro rassicurazioni identiche, riesce a mettere giù il telefono. “Scusami, ma allo zio Bertino non posso non rispondere”. No, non può. Soprattutto se suo zio, Alberto Sforzi, uno dei giocolieri più famosi al mondo, protagonista del documentario che Adriano ha portato al Biografilm Festival di Bologna (5 – 15 giugno), lo sta chiamando da Varsavia (dove è in tournée con la compagnia) preoccupato perché tutto sia pronto per il numero che dovrà seguire la proiezione del film. “E’ agitato per l’esibizione della sua “bambina”, mia cugina, anche lei giocoliere”.

Così è stato da sempre, prima di qualsiasi spettacolo del circo Medrano, “l’ansia fa sembrare tutto impossibile, poi quando si solleva il tendone ed è il momento di entrare in scena, la paura passa e tutti danno il meglio di sé”. Ma ne L’equilibrio del cucchiaino c’è il punto di vista interno di chi gli spettacoli li ha vissuti da dietro le quinte, da quel corridoio stretto dove si raccolgono gli artisti prima dell’ingresso sulla scena. E poi, naturalmente, c’è la storia di Alberto Sforzi. Per alcuni il giocoliere più bravo e sfortunato al mondo, vittima di un incidente che gli ha quasi fatto perdere una gamba, per suo nipote un eroe: “Stando in equilibrio sul filo, si lanciava in testa, con la punta del piede, sette piattini, sette tazzine e infine un cucchiaino che cadeva esattamente dentro l’ultima tazzina. Avevo sette anni la prima volta che mio padre mi ha mostrato i filmati delle sue esibizioni, rimasi a bocca aperta”.

Alberto Sforzi era solito riprendere tutto, a lui quelle immagini servivano “per studiare se stesso, rivedere i suoi allenamenti e quindi perfezionare i movimenti”, ad Adriano, anni più tardi, sarebbero servite per realizzare questo documentario: “Un giorno nella sua roulotte, la campina come si chiama nel gergo circense, ho scoperto che sotto il divano erano raccolte tutte le pizze, le pellicole girate dallo zio con la sua Super 8. Mi sono detto subito: “Devo farne un film””. Quelle pellicole coprono quasi cinquant’anni di vita, raccontano dei successi, dei viaggi di Alberto Sforzi, ma soprattutto raccontano dell’amore della sua vita, quello per Ghisi Casartelli. “E’ per lei che lo zio Bertino ha fatto tutto. Per poterla sposare, infatti, doveva diventare il numero uno”. Così voleva il papà di Ghisi, Leonida Casartelli, il fondatore del circo Medrano. “Andrò in America e tornerò a prenderti con una di quelle auto giganti” era stata la promessa che Alberto aveva fatto a Ghisi.

Ma prima dell’America, nel 1966, Bertino va in Sudafrica. Un circo inglese, alla sua prima trasferta, lo vuole come giocoliere di punta dello spettacolo. “Per cinque anni lui e Ghisi si sono scritti una lettera al giorno”. Poi, la sorpresa: un impresario americano gli scrive perché vuole portarlo in America. Fuori dall’ufficio postale dove Alberto aveva ritirato la lettera, però, un’auto lo investe e gli spezza una gamba.  Bertino riesce ad evitare che i medici gli taglino la gamba solo perché in sala operatoria uno dei chirurghi lo riconosce, “aveva visto il suo spettacolo  –  racconta Adriano  –  e ha fatto di tutto per cercare di ricucire la gamba spezzata e salvarla”. Certo, la carriera di Albero Sforzi subisce una brusca frenata, ma non si interrompe: “Da quando è bambino, Bertino si allena tutte le mattine dalle 8, si esibisce nello spettacolo pomeridiano, torna ad allenarsi per un’ora e poi è pronto per lo spettacolo della sera”.

Ed è a questo che Adriano pensa ora: “Quando ero piccolo, ascoltare i racconti su mio zio o vedere i suoi filmati mi faceva pensare che tutto era possibile, volevo imparare anch’io a camminare sul filo, ma cadevo ad ogni tentativo”. Una volta diventato adulto, Adriano Sforzi ha capito che “Bertino non mi insegnava solo che gli obiettivi si possono raggiungere, ma che bisogna insistere e lottare”. E questo film, paradossalmente, è l’emblema della lezione di Alberto Sforzi: “Ci sono voluti tre  anni per realizzarlo, è stata dura e ho avuto bisogno dell’aiuto di tante persone, ma alla fine ci siamo riusciti”. Alberto e Ghisi non hanno mai voluto vedere il film in anteprima. La proiezione a Bologna sarà una sorpresa anche per loro.

di Giulia Echites