Il coraggio nell’arte circense

Avatar Armando Talas

Da molto tempo non scrivo. Ho sempre pensato che quando non si ha nulla da dire sia più opportuno tacere, in modo da evitare il vaniloquio o la farneticazione, soprattutto se si ha un megafono alle labbra.

Qualche tempo fa, tra le pietre scolpite del tempio Prambanan, un luogo bellissimo e inusitato dall’altra parte del mondo, sull’isola di Giava, ho finalmente messo a fuoco la caratteristica comune a tutti gli spettacoli circensi che ho davvero amato: anche se in modo diverso, sono tutti spettacoli molto coraggiosi, dal primo all’ultimo.

Non mi riferisco al coraggio di eseguire numeri rischiosi o ad alto tasso adrenalinico; nemmeno al coraggio in generale, che andrebbe inteso come una virtù media, un punto equidistante tra la pavidità dei fifoni e la temerarietà degli sprovveduti. Il coraggio a cui mi riferisco è qualcosa di diverso, di più specifico dell’arte, che c’è oppure non c’è, senza mezze vie.

Qualsiasi idea un artista concepisca può essere sviluppata con il coraggio che serve, oppure no; e la quantità di coraggio dipende dall’idea madre e dalle sue ramificazioni, perché alcune idee richiedono molto più coraggio di altre. Vale per i singoli numeri, per le entrée di clownerie, come per interi spettacoli.

Se un artista consapevole di quello che fa decidesse di affrontare, per fare un esempio estremo, il tema della violenza, dovrebbe essere pronto ad avere un grande coraggio, altrimenti la sua arte sarebbe ridotta in cenere, non funzionerebbe. Perfino per raccontare una fiaba ai bambini serve coraggio, perché le fiabe davvero belle hanno venature crudeli e aspetti spaventosi.

Certamente è servito un coraggio straordinario per sviluppare i temi cardine di spettacoli come A-Tripik di CirKVOST, Mentir lo Mìnimo di Alta Gama, MDR – Morire dal ridere di Los Galindos. Allo stesso modo è servito un grande coraggio per proporre, a partire dal 2006, le ferali e conturbanti tematiche del Circo de Los Horrores.

Più il tema è controverso, profondo ed esistenziale, più il coraggio necessario aumenta, pena il fallimento artistico; ma, come per le fiabe, non si creda che tematiche apparentemente semplici siano esenti.

Anche trattare del tema del trascorrere del tempo e della senilità, come mirabilmente fatto ne La burla di Madame Rebiné, richiede una buona dose di coraggio, perché la vecchiaia nel mondo contemporaneo sta diventando un tabù da nascondere.

Tutte le tematiche di questi spettacoli di successo, citati con intento esemplificativo, potevano essere trattate anche senza il coraggio necessario – e certamente in altri casi il timore è prevalso – ma non ne serbiamo nemmeno la memoria, perché hanno portato a fallimenti artistici.

Non si creda che il circo tradizionale sia privo di coraggio; lo è solo a volte, se l’arte è evaporata e abbonda la prosopopea, quando i fantasmi del passato regnano sui viventi.

C’è da dire che il circo contemporaneo ha maggiori possibilità di coraggio, gradi di libertà più ampi, non essendo sottoposto ai vincoli della tradizione. Per questo la sua pavidità è un peccato più grave.

Ci sono molti limiti che gli artisti si infliggono per paura. Uno dei più comuni è la presunta necessità di dover sempre proporre spettacoli per tutte le età, che piacciano ai bambini di tre anni come ai loro nonni, e magari perfino alla sparuta critica di settore. Questa pretesa, che nasce dal terrore di precludersi fette di pubblico, ha creato più problemi di quanti se ne possano immaginare, impedendo lo sviluppo di interi filoni creativi.

Queste mie parole se da un lato vogliono essere un inno al coraggio, dall’altro rappresentano anche un monito: non si affrontino tematiche che non si ha il coraggio di portare avanti fino in fondo. Si può essere artisti onesti e restare tra le righe, nella giusta misura, senza andare oltre le proprie Colonne d’Ercole, evitando di affrontare mari sconosciuti, dove è facile naufragare. Tuttavia, l’arte che amo davvero, rara come una perla luminosa, quelle colonne le ha oltrepassate, e per farlo è servito molto coraggio.