TORINO – Pensiamo alla parola «circo». E poi lasciamo affiorare le prime parole che vengono in mente. Ci sarà rumore, chiasso, musica, magari tendone. Tutto ma non silenzio, quella misteriosa pausa fra due suoni, due istanti, due parole. E invece la nuova frontiera del circo contemporaneo è questa: due spettacoli riflettono sul silenzio, da due prospettive diverse.  

«È l’altra faccia del circo roboante – continua Stratta –, un invito all’ascolto non solo acustico, senza filtri, fronzoli e orpelli. Nello spettacolo tradizionale c’è la preoccupazione del tempo morto e del cambio di musica e di scena, qui è il contrario. Questo obbliga a un ritmo e tempo nuovi, richiede una qualità e una presenza degli artisti diverse». Tutto avviene sopra gli occhi di chi guarda perché è quasi tutto aereo, senza interruzioni di luce, buio, stacchi. Anche gli attrezzi sono agganciati e sganciati in piena vista. «Si crea un continuum – spiega Stratta – come un piano sequenza stile Antonioni: gli aspetti macchinistici fanno parte dello spettacolo, mettono alla prova gli artisti che sviluppano una nuova densità interpretativa. È come viaggiare in un altro ritmo o altro tempo, è come farsi prendere dalla lettura di un libro e trovarsi in altri mondi alla scoperta degli aspetti omessi negli spettacoli tradizionali ma senza nulla di criptico». 

Altro silenzio quello al Teatro Concordia di Venaria Reale nell’ambito di «Citè 2018» la rassegna di circo e teatro ideata da Flic scuola di Circo di Torino sabato 5 e domenica 6 maggio alle 21 con «Silenzio», spettacolo di circo, danza e teatro d’oggetti della compagnia di Roberto Magro. «Il titolo – spiega il regista – è evocativo, un po’ come “Silence” di Martin Scorsese. È legato all’importanza del silenzio come condizione necessaria dell’ascolto di sé e via d’uscita dal nostro mondo rumoroso. L’idea di fondo nasce dalla tristezza di immaginare un futuro senza poesia. Ho scelto di raccontare la storia di un uomo che piange la sua donna ma non riesce a ricordare se ne piange una, cinque, o cinque aspetti della stessa». Magro è nato in un paesino di montagna del Nord del Friuli dove le donne erano costrette al silenzio fino a 30 anni fa: non avevano nessun ruolo se non nell’ambito familiare. «Non è uno spettacolo sulla condizione femminile – spiega il regista – ma, attraverso le donne, racconta la metafora della poesia. Uomini, donne, immigrati, calciatori in panchina: il silenzio è di tutti quando non possiamo esprimere ciò che abbiamo dentro».  

Gli eventi non seguono un ordine cronologico ma un flusso come nei film di Angelopoulos o Tarkovskij, passato e futuro sono un unico eterno presente. «Ogni personaggio femminile – racconta Magro – è ispirato a una poesia di Alda Merini: c’è la bipolare, la pianista, quella al telefono, la rinchiusa che ha ispirato la scenografia e quella che declama aforismi. Da poco tempo Merini è riconosciuta come poetessa dell’amore, prima era sempre e solo quella della follia, una donna che nasconde una farfalla eterna. Altra ispirazione è Mario Benedetti, scrittore uruguaiano che strappa le parole al silenzio». In scena la tecnica diventa poesia: danza, teatro, marionette, un palo cinese mobile e contorsioni per raccontare la fragilità del corpo. Un mondo di istinti diventa allora possibile in un suggestivo, continuo enigma.