Strabilio Festival, in una notte d’estate.
Questa sarà una strana recensione, ne sono sicuro. La immagino letta ad alta voce alla compagnia da Silvia, la cantante comica e attrice di Circo Madera, quando il sipario è già calato e resta solo il frinire dei grilli nel buio.
Mi pare di sentirla declamare a tratti rapidissima, come se alcune parti fossero del tutto trascurabili, a tratti enfatica, distorcendo qua e là il testo per prendere in giro qualcuno, inventandosi frasi di sana pianta; poi la vedo alzare lo sguardo a lettura finita e pensare a tutt’altro, ai conti da pagare, al prezzo della benzina, agli infiniti problemi della vita errante di chi fa circo nel nostro paese, che nessuna recensione può risolvere. È vero. Tuttavia le recensioni hanno un senso profondo: servono ad analizzare il frutto di questo vagare, a tirare le somme, a discutere sul risultato finale di ogni sacrificio.
Psicomic è un’interessantissima formula sperimentale, frutto della collaborazione tra Circo Madera e Crochet Puppet Theatre.
Il pubblico viene invitato a una seduta di psicanalisi collettiva, comica, ma piena di doppi fondi estremamente seri. Non immaginate discorsi seriosi, intellettualismo spiccio o astruse teorie della mente applicate al circo; nulla di tutto questo, e neppure l’angoscia che comunica chi vuole andare impunemente oltre le sacrosante difese della psiche umana. Qui è imperante la leggerezza per come la intendeva Calvino: “Prendete la vita con leggerezza, ché leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”.
Ed era l’unica caratteristica che davvero serviva per trattare il tema cocente delle nevrosi contemporanee, e il tema rovente dei disturbi mentali veri e propri.
Il Dott. Froidoni, che è un pupazzo vivo, ci porta per mano in questo mondo di follia, che è la nostra realtà paludata. Come può un pupazzo essere vivo? Non lo è. Non nella dimensione che possiamo definire realtà ordinaria; lo diventa per la nostra psiche quando ci immergiamo completamente nello spettacolo e ne diventiamo parte.
Il Dott. Froidoni ha una sua personalità e ha esso stesso i suoi demoni di pupazzo, tra cui il più terribile: la visione dell’essere mascherato che lo muove e gli dà la vita. Arriva ad avere l’intuizione terribile e spaventosa di non essere padrone di sé stesso, ma solo un simulacro vuoto, privo di volontà, manipolato da un essere senza volto. È la percezione terribile che ha uno schizofrenico in preda al delirio di controllo (il soggetto è convinto che estranei o entità superiori controllino la sua mente) o a un delirio d’inserzione del pensiero (il soggetto crede che i propri pensieri non siano sviluppati personalmente, bensì inseriti nella sua mente contro il suo volere da qualcun altro). Quel pupazzo rappresenta per un interminabile frangente queste orribili sensazioni, senza che il pubblico riesca del tutto a realizzarlo.
Poi ci sono i matti del Dott. Froidoni, con le loro angosce e i loro conflitti interiori, che vengono risolti durante lo spettacolo in forme rituali. Sono disturbi mentali fittizi, inventati per far ridere, ma che assumono un significato fortissimo, perché finiscono per essere risolti in scena con dei processi rituali di guarigione. Non arriviamo alla psicomagia di Alejandro Jodorowsky, ma l’idea di fondo è la stessa, quella antichissima del rito catartico.
Solo grazie alla leggerezza e a un’estrema sensibilità è stato possibile scoperchiare questo vaso di Pandora della psiche umana senza creare dei disastri. Perché è inevitabile l’immedesimazione degli spettatori in questi personaggi disadattati, che in qualche modo ci rappresentano. Restando in tema, si potrebbe parlare propriamente di proiezione, che in psicanalisi è il meccanismo di difesa per il quale il soggetto attribuisce ad altri sentimenti, desideri, aspetti propri che rifiuta di riconoscere in sé stesso.
Non so come Silvia trasformerà teatralmente questa recensione leggendola ad alta voce, ma so per certo che sarà molto divertente, che verrà alleggerita, svuotata del peso eccessivo delle parole; tuttavia pronunci pure con grande enfasi questa conclusione: si tratta di uno spettacolo di rara bellezza e profondità umana, che meriterebbe un vasto successo.