Il weekend del 27 settembre sono stato a Legnago per il Salieri Circus Award. Avendo visto entrambi gli spettacoli il sabato, il giorno successivo, prima di tornare a Pisa, ho scelto di andare a vedere un altro circo. Il più vicino era il Circo Cesare Togni a Vicenza.
Due realtà così diverse, un festival e un circo di medie dimensioni, mi hanno spinto a fare la medesima riflessione: perché si continua a sottovalutare l’importanza del clown nello spettacolo circense?

Perché i clown sono, troppo spesso, utilizzati solo come tappabuchi per allungare spettacoli altrimenti troppo corti? Perché in pochi si rendono conto che l’intrattenimento è cambiato e che gli anni ’90 sono finiti da un pezzo?
Provo ad andare per gradi e a spiegarvi da dove nascono queste domande.
L’assenza di Clownerie al Salieri Circus Awards
A presentare gli spettacoli del Salieri Circus Awards è un attore che interpreta Antonio Salieri. Personalmente trovo la scelta fuori tempo, ma qui sono gusti personali, e va riconosciuto che, per quella che è la missione del festival, non è una scelta così assurda. Questo presentatore entra prima e dopo ogni numero e, chiuso il sipario per permettere il riattrezzaggio della pista e intrattiene il pubblico.
Il problema è proprio qui: il risultato di ogni intermezzo tra un numero e l’altro risultava forzato, monotono, eccessivamente artefatto e, permettetemi di dirlo, davvero noioso. L’attore, che di per sé mi è sembrato anche bravo, non ha ovviamente colpa: temo che il problema fosse proprio di scrittura delle parti recitate e del contenuto delle stesse. In breve: il risultato era un Antonio Salieri macchietta, spocchioso e pesante. Lo spettacolo non ne usciva fluido ma appesantito.
Durante gli spettacoli ho cercato di chiedermi: ma cosa manca a questo spettacolo? Perché lo guardo e mi risulta “impegnativo”? La risposta era, in realtà, semplice: mancavano gli intermezzi di clownerie che smorzassero tutto il resto. Gli intermezzi del Salieri, invece di alleggerire, appesantivano e non poco. Qui entra in gioco la riflessione sul Circo Cesare Togni.
Lanciare spaghetti sul pubblico
Ero davvero curioso di vedere il Circo Cesare Togni, avevo visto i numeri di famiglia al Circo Rolando Orfei, li avevo molto apprezzati e volevo vedere cosa avessero messo su in un intero spettacolo. Con onestà intellettuale, ho trovato lo spettacolo carino, senza infamia e senza lode, ma con un grosso punto interrogativo: il clown.
Lo sappiamo, in Italia quasi tutti i clown usano sempre le stesse riprese che potremmo tutti elencare a memoria; qui ne ho trovata una che non vedevo (fortunatamente) da una vita: la ripresa della trattoria. CircusFans, di questa ripresa, ha scritto “che porta il pubblico all’apice dell’entusiasmo”, e io, leggendo questa frase, mi sono chiesto se la ripresa fosse la stessa che ho visto io.
Per farla breve: una gentil donzella si accomoda al tavolo e il clown fa un po’ di casini con i bicchieri e nel prendere la comanda. Il tutto davvero poco divertente e molto forzato. Il climax si ha quando arriva il piatto di spaghetti ordinato dalla malcapitata: il clown inizia a lanciarli sul pubblico.
Io ero abbastanza pietrificato: cosa dovrei trovare di divertente in un clown che lancia spaghetti sul pubblico? Il tutto in una ripresa lunghissima, interminabile e che (forse) ha fatto ridere solo per una torta in faccia. Ma, al di là dei giudizi sul clown di questo circo, questa questione spesso riguarda troppi complessi italiani.
L’importanza del clown nello spettacolo
Come ho anticipato, e come in molti possono confermare, in Italia la maggior parte dei clown utilizza sempre le stesse riprese. Di per sé non è un male se queste si incastrano con lo spettacolo e se si portano in pista come si deve. Io, banalmente, rido sempre per la ripresa della radio e per quella dell’orchestra.
Però, dall’esterno, l’impressione che si ha è che troppe volte il clown sia utilizzato solo per dare tempo al riattrezzaggio e per allungare lo spettacolo che altrimenti durerebbe troppo poco. Questa è ovviamente un’esigenza legittima, magari anche per piccoli circhi con pochi numeri. Il problema è quando, pur di allungare a tutti i costi, si portano in pista riprese lunghissime, che non fanno ridere e che sono palesemente messe lì senza una logica.
Io ogni volta mi chiedo: “Ma non si rendono conto che il pubblico si annoia?”. La risposta probabilmente è no, se no quelle riprese non sarebbero lì. Eppure, le alternative esistono.
La prima che mi viene in mente è il Circo Busnelli, che del clown Dylan (Dylan D’Amico) ne fa il fil rouge di tutto lo spettacolo. Riprese di vario genere, alcune sue originali, mai banali e che si incastrano perfettamente con lo spettacolo, lo alleggeriscono e accompagnano egregiamente il pubblico lungo le due ore. Ma anche Maverik Piazza al Circo Madagascar, clown giovane dotato di una mimica facciale assurda, che con riprese brevi risulta super efficace.
Un altro esempio è quello del Circo Millennium con William Biasini: presentava riprese comuni, ma senza perdere tempo, senza appesantire lo spettacolo. Risultava una figura di cui il pubblico non poteva stancarsi. Unica ripresa lunga, con la Famiglia Coda Prin, erano i Clown Musicali. Oppure, esempio a cui tutti dovrebbero guardare, è quello di Mister David per Gravity: un clown sui generis, che non annoia per nulla e che di originalità ne ha da vendere.
Potrei continuare ancora, ma il punto è semplice: non si deve dimenticare che il pubblico paga per lo spettacolo e, soprattutto, non si deve dimenticare che, con le dovute differenze di categorie del complesso, non si può portare in pista uno spettacolo che al 70% è fatto da riprese allungate.
Conclusioni
La Clownerie non è una disciplina residuale o di seconda categoria in uno spettacolo di circo. Si può presentare lo spettacolo migliore del mondo, ma se il clown che ne fa da contorno non è bravo, agli occhi dello spettatore ne risente lo spettacolo nella sua interezza.











