La storia del circo può essere noiosa. Ammettiamolo.
Solo Tristan Rémy è riuscito qualche volta a carpire interamente la mia attenzione, a portarmi con sé in un mondo lontano. Più spesso lo storico non riesce a trasportare la mente dei suoi lettori nel passato remoto; non ne ha nemmeno l’intenzione, preso com’è tra una nota e una puntualizzazione. Il nozionismo rigoroso e pedante dei libri di storia rappresenta quasi sempre un ostacolo insormontabile alla fantasia: lo sbadiglio vien da sé.
Nel mio caso sussiste un’ulteriore aggravante: ho sempre pensato che il circo vada inteso e vissuto come arte performativa presente, viva, che non lo si possa guardare con gli occhi appannati della storia. Lo storico carpisce subito l’arte nuova, appena venuta alla luce, e la inserisce in una certa tradizione, in un filone piuttosto che in un altro, nel continuum del tempo. Insomma, la infila nel suo schedario polveroso, prima ancora che possa piangere le sue prime lacrime d’arte nuova.
A me la storia del circo interessa solo in una chiave particolare, perché, citando Miguel de Cervantes: “La storia è madre della verità, emula del tempo, depositaria delle azioni, testimone del passato, esempio e annuncio del presente, avvertimento per il futuro”.
Avvertimento per il futuro. Questo mi interessa davvero. Così come ci si rivolge agli oracoli dei maghi, io interrogo la storia. Le risposte che ho sono altrettanto elusive, ma hanno una loro magia.
Novembre 1903, Bologna, teatro Duse. Lo spericolato ciclista Mephisto, personaggio mirabolante di una compagnia di varietà, esegue un rapidissimo giro della morte all’interno del teatro. Il successo di pubblico è clamoroso.
Un anonimo giornalista scriverà sull’Avvenire d’Italia, quotidiano dell’epoca: “Non sappiamo davvero comprendere come si permettono spettacoli simili, giacché qui si tratta non solo di un individuo che attenta alla sua vita, ma anche a quella degli spettatori. Infatti un assito della larghezza di un metro parte dal loggione e scende sino alla platea formando sul palcoscenico il famoso cerchio. Ora se il temerario ciclista nella partenza, per un capogiro o un accidenti qualsiasi, facesse deviare anche di un solo centimetro la ruota davanti della bicicletta, piomberebbe in mezzo alla platea massacrandosi e massacrando chi ci capita sotto, giacché non vi è né rete né riparo che lo impedisca”.
Il resto della serata era dedicato a un programma di varietà eseguito da acrobati e pagliacci, esattamente come nei circhi equestri di quel periodo.
Nel breve trafiletto giornalistico che ho riportato troviamo moltissimi temi attuali, primo su tutti l’attrattiva del rischio, che calamita il pubblico d’allora come quello di oggi. Ci sono già anche gli stessi dilemmi sulle misure di sicurezza. Chissà che Mephisto non torni a calcare, redivivo fantasma, le quinte di alcuni teatri del domani. Vi stupireste?
Certo oggi ci sono anche avanguardie più intellettuali nel circo teatro.
“… non serve un teatro ‘dell’attore’, un teatro ‘di pièces’ o un teatro ‘della scenografia’, ma un teatro ‘delle attrazioni’, un teatro dello spettacolo-fantasmagoria in cui il compito formale consista nell’agire efficacemente sullo spettatore con tutti i mezzi a disposizione della tecnologia moderna; un teatro in cui l’attore occupi un posto equivalente a quello di un mitra caricato a salve che spara sul pubblico, del pavimento della platea che vacilla o di un leopardo addomesticato che semina il panico tra gli spettatori”.
Queste parole si trovano in un saggio di Ejzenŝtejn degli anni Venti del Novecento, titolato “Sul programma didattico del laboratori teatrali del Proletkul’t”.
Ejzenŝtejn cercherà di fare in modo che gli attori traducano in acrobazia e in azioni gli stati d’animo dei personaggi. Immaginiamo un attore che pronuncia frasi in tono minaccioso e un altro che prova terrore. Ejzenŝtejn proporrà al primo attore di camminare su una corda da funambolo, in modo che inconsciamente il pubblico provi paura (cadrà?) e creda nell’autenticità della minaccia dell’uno e della paura dell’altro.
È passato un secolo, ma forse un saggio come il “Montaggio delle attrazioni” di Ejzenŝtejn, edito nel 1923, può spiegarci qualcosa del circo di domani. In questi termini, la storia può essere interessante, se riusciamo a tendere l’orecchio alla melodia del tempo per tentare di carpire qualche ipotetica nota del futuro.