Andrej possedeva l’orlov più veloce della steppa e la caparbietà di domarlo. Dimitri aveva sulla schiena una dolce collina ma gli mancava la forza di infischiarsene.
In mezzo a loro sedeva Ludmilla, ragazza parlante solo se dondolata da un’altalena: “Voglio che la mia vita sia così! Un andare e venire continuo!”.
Andrej credeva che acquistare cose fosse un moto perpetuo e soddisfacente. Dimitri era convinto che lo zio, chiuso in un cassetto affinché non scappasse di nuovo da quel luogo che Ludmilla voleva abbandonare al più presto, lo avrebbe aiutato volentieri.
E così fece, svelandogli quel che vide in una vita nomade, passata a raccogliere frutta: “Ha due modi per evadere: o aspetta i giostrai, ma in Europa li stanno maledettamente sterminando tutti, o il 21 marzo a mezzanotte prega che passi di qui proprio lei, la regina delle api nere. Vola su di un carro, protetta da uno sciame che l’accompagna. Lei la può portare nel punto più lontano da casa, dove godrà del nettare dei fiori immacolati”.
Ascoltate queste possibilità, Ludmilla scivolò di gioia tra le braccia di Dimitri. Da Andrej uscì gelosia dalle narici e una sentenza dalla bocca: “Come farai? Avrai bisogno di qualcuno che corra rapido come il Buran…”. E Ludmilla lo fissò maliziosamente: “Sì, e io so chi ne è capace”.
Giunse l’equinozio e gli occhi da volpe della fuggitiva luccicavano più degli astri e del cristallo.
Andrej raggiunse una velocità al galoppo mai provata.
L’andatura forsennata dentro di sé era opposta al respiro sereno e sognante di Ludmilla, avvinghiata con le braccia a quel corpo che le trasmetteva tanta sicurezza.
Venne lo sciame, la nuvola si schiuse e la regina tese una mano a Ludmilla. Lei salì sul cocchio e s’inchinò. Appena accortasi di quanto fosse piccolo il suo paese visto da lassù, una piccola ape la pizzicò sul seno sinistro. L’iniziazione era compiuta.
Andrej tornò al vacuo caseggiato a passo di tristezza: “Caro Dimitri, la rivedremo un giorno, vero?”. “No Andrej, se è stata punta, la nostra Ludmilla si è già scordata il passato e non teme il futuro”.
Andrej non accettò il presente, assestò un calcio rabbioso all’amico e partì all’inseguimento con il suo destriero che, esausto, raggiunse solo la frustrazione.
Dimitri, sanguinante a terra, pregò a voce bassa: “Perché certe Primavere le puoi vivere ma non le puoi trattenere, le puoi raccontare ma è meglio non aspettarle”.

Racconto di Paolo Negri, illustrazione di Eugenio Broggi
Tratto da “22 Arcani circensi, freaks e simili”, Il Cavedio (2022) 
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