Prima del Wild West Show di Buffalo Bill, e anche dopo, c’era il Circo Barnum, attivo per 146 anni, dal 1871 al 2017. Americano del Connecticut, il fondatore Phineas Taylor Barnum (1810-1891) lasciò un’autobiografia che alla fine dell’800 era negli Stati Uniti il libro più venduto dopo la Bibbia. Figlio di un sarto, nella migliore tradizione yankee Barnum sperimentò diversi mestieri: negoziante di frutta e dolciumi, poi di cibarie, ferramenta e stoviglie; quindi nel 1831 giornalista di una testata tutta sua (The Herald of Freedom, un foglio) per cui si beccò querele e una condanna per diffamazione a 100 dollari di multa e 60 giorni di carcere. Anche da dietro le sbarre continuò a dirigere il foglio, e alla scarcerazione ci fu una festa dentro l’aula del tribunale che lo aveva condannato. Un’americanata. 

Dopo l’esperienza giornalistica Barnum intraprese la carriera di impresario di spettacoli artistici di vario genere. Mentre la nazione conquistava il West, lui fu il pioniere dell’industria dell’intrattenimento nell’Est del Grande Paese e poi all’estero: Cuba, Egitto, Hawaii, Australia, Nuova Zelanda, Malesia, Giappone, Cina. Con qualche puntata nel Midwest dove con 40 anni di anticipo su Buffalo Bill assunse degli indiani da fare lavorare in quella sorta di circo stabile che era il suo Museo Americano.

Nel 1843 acquistò a Boston un “lotto di bufali” da mettere in scena per la “Grande caccia”. Gli indiani erano un po’ selvaggi, così – per evitare che si scagliassero contro l’orchestra e gli spettatori – bisognava isolarli dalla platea con una barriera di corda. I nativi menavano vita grana, volevano tornare nelle praterie e una squaw – tra gli spettacoli c’era la Danza nuziale – morì nel Museo.

Barnum faceva dollari a palate. Vent’anni dopo altri indiani, capeggiati da Orso Giallo, la presero male – e abbandonarono lo show, con sollievo di Barnum – quando scoprirono che per entrare al Museo gli spettatori pagavano. Il libro – 40 anni di ricordi di Barnum – è a cura e con traduzione di Andrea Asioli. In appendice due scritti di Mark Twain, che al tempo stesso disprezzava Barnum per la sua dozzinalità e ammirava “il fegato dell’uomo che ha osato avventurarsi in un’impresa così colossale”. 

Gilberto Scuderi