La parola “circo” evoca nella mente dello spettatore, dal più ingenuo all’appassionato cultore, un innegabile senso di stupore e spettacolarizzazione. Seppur scivolando nei cliché, è facile immaginare un enorme chapiteau colmo di luci sfavillanti, agili trapeziste volteggiare, dinoccolate contorsioniste stravolgere le leggi della fisica e fieri domatori sfidare la sorte nelle gabbie delle belve. Il mondo al di sotto del tendone ci trasporta in una dimensione onirica, dove tutto è suggestione e ciò che sogniamo viene tradotto in realtà e restituito in arte da artisti talentuosi. Il performer circense, muovendosi così fluidamente tra realtà e mondo dell’immaginifico, se ne rende l’interprete principale e fa del suo corpo un tramite, investito del ruolo quasi sacerdotale di rendere accessibile a tutti questa dimensione altra e fantastica.

Attraverso gli artisti che si muovono in pedana, immedesimandoci in loro, noi stessi portiamo in scena desideri, sogni, ma anche tensioni e paure. Per mezzo della performance, ognuno di noi rielabora in chiave unica e personale l’impatto poetico ed emotivo del gesto atletico e, per un istante, diventiamo noi stessi gli attori del nostro singolare spettacolo. Questa straordinaria esperienza che regala il mondo circense è molto simile a quanto offre quello dell’alta moda. Lo sanno bene le signore (e non solo): basta un capo o un accessorio, ben modellati sulla silhouette, che valorizzino la figura e ci si può letteralmente trasformare. È incredibile pensare a come un semplice tessuto cucito possa farci sentire affascinanti e sicuri di noi. O addirittura riesca a trasformarci, per l’istante in cui lo indossiamo, in un’altra persona. La moda ci rende attori e interpreti pirandelliani dei nostri molteplici “io”.  

È inevitabile ravvisare questo parallelismo tra circo e moda: c’è in essi una connaturata capacità di regalare all’essere umano mille versioni immaginifiche di sé stesso, trasformandolo continuamente, cucendogli addosso sempre nuove identità, senza mai fargli perdere il contatto con il proprio nucleo. Abbiamo bisogno di osservare la trapezista che si libra a metri da terra per acquisirne la leggerezza, di guardare il domatore tenere testa alle fiere per carpirne il coraggio: così abbiamo bisogno di riconoscerci in semplici oggetti ai quali attribuire un valore, per poterci esprimere, perché raccontino al mondo qualcosa di noi. Sì, l’essere Umano è fatto anche di questo: un ché di effimero, un tocco di superfluo e un pizzico di superficialità. Tutto ciò i grandi Couturier della storia lo avevano intuito generazioni fa e al mondo del circo hanno dedicato intere collezioni, trasformando le proprie sfilate in veri e propri spettacoli.

Tra i pionieri della moda impossibile non citare l’iconica Elsa Schiaparelli e la sua collezione Cirque del 1938. Anticonformista e visionaria a prescindere, l’italiana scardina il registro della moda femminile dell’epoca impreziosendo i suoi capi, già sopra le righe per tagli e colori, con decori a tema circense. Su giacche ed abiti pullulano elefanti ricamati in fili cangianti, scimmie esotiche e pariglie di cavalli con tanto di pennacchi e sulle passerelle compaiono accessori a forma di palloncino o di cono gelato.

Il tema è estremamente versatile ed attraente per i couturier, tanto che dopo la Schiaparelli vi si ispireranno in molti. Tra i tanti: John Galliano nel 1997 lo rilegge in stile Carnevale di Venezia, un po’ rococò, Alexander McQueen nel 2001 lo declina in chiave gotica, fino ad arrivare a Christian Dior che presenta la sua collezione primavera-estate del 2003 sotto uno chapiteau in piena regola.

Ecco che le sfilate si popolano di clown avvolti in nubi vaporose di tulle e organza, androgini direttori di circo inguainati in frac di paillettes e ghette in lurex e numerosi altri personaggi che sembrano uscire direttamente dall’immaginario collettivo. Viceversa, il mondo sotto il tendone è da sempre un regno dell’estetica, dove oltre alla bellezza del movimento impera la plasticità dei corpi perfetti degli atleti, fasciati in abiti fatti per stupire. Ecco allora il comune denominatore, l’irrinunciabile prerogativa che rende tanto preziose queste due forme d’arte: la capacità di cucirci addosso i nostri sogni.