Intervista con Francesco Mocellin, Presidente del Club Amici del Circo e Componente del Consiglio Superiore dello Spettacolo presso il Ministero della Cultura

Fine settembre, siamo al Salieri Cricus Award a Legnago e dove c'è bellezza si origina altra bellezza. Durante la conferenza mattutina dedicata alla stampa e alla comunicazione in ambito circense mi colpisce l'intervento di una persona che vedo solo di spalle, essendo lui seduto davanti a me. Non so ancora chi sia questo personaggio ma in poche parole sintetizza anni di riflessioni che avevo condiviso con l'amico e collega Armando Talas di CircusNews seduto di fianco.

Bene, devo assolutamente conoscerlo. Poco dopo il caso vuole che ci si trovi a pranzo allo stesso tavolo e scopro essere Francesco Mocellin, Presidente Club Amici del Circo, Componente del Consiglio Superiore dello Spettacolo presso il Ministero della Cultura, Membro del Consiglio Direttivo dell’European Circus Association e della Federation Mondiale du Cirque. Per forza ne sa di circo penso tra me e me! Seguendo il verso del cantautore Vinicus de Moraes che recita “la vita, amico, è l'arte dell'incontro” qualche giorno dopo lo contatto via mail. Ecco il risultato della nostra chiacchierata telematica. Buona lettura.

 

1) "Comunicare il circo" è stato il titolo dell'incontro avvenuto domenica mattina al Salieri Circus Award Festival. Si tende a pensare che il racconto (o lo "Story telling" come va di moda dire adesso) e la realtà siano due entità separate. In realtà un'esperienza o un fatto esistono, per le persone che non l'hanno vissuto, solo nel momento in cui vengono raccontate e per come vengono raccontate. E' davvero un tema importante quello della comunicazione. Vero anche che per riuscire ad emozionare con un racconto serve un buon soggetto e una bella storia. Secondo lei, come possiamo uscire da questo per quanto riguarda il circo classico in Italia?

Quello che poni possiamo definirlo il problema della drammaturgia in senso lato. Vi sono sempre più spettacoli di circo che cercano di collegare i vari “numeri” con un filo conduttore e altri che tendono a diventare vere e proprie storie.

Io sono convinto che la forza dell’arte circense sia sempre nel gesto, nell’azione, lo spettacolo del corpo…sia di uomini che di animali. Talvolta l’eccesso di drammaturgia appesantisce il fattore estetico: alla fine contano la qualità degli artisti e la capacità di metterli insieme.

 

2) Sempre sull'importanza della comunicazione e della terminologia. Circo classico e circo contemporaneo sono definizioni che sembrano ormai superate (anche perchè i non addetti ai lavori fanno l'associazione "circo classico: animali" e "circo contemporaneo: no animali" ma sono binomi non corretti)  e si rischia di fare confusione. La nuova definizione proposta da Antonio Giarola è "Circo d'arte" intendendo una vera forma d'arte che sappia emozionare, un qualcosa di bello e assoluto di alto valore artistico appunto. Vorrei per un attimo fare però riferimento alla vecchia definizione di circo classico e contemporaneo. Per essere chiari: circo classico intendo Orfei, Togni e Medrano e per circo contemporaneo Magdaclan, Circo Zoè, Circo Paniko, ecc… (lascerei da parte Cirque du Soleil perchè si tratta di una forma di circo ancora diversa).

Quali sono le differenze principali tra queste due realtà? Perchè questi due mondi, in Italia, sono così distanti e sembra impossibile un'interazione vera?

Il c.d. “circo classico” viene più o meno identificato col circo itinerante dotato di chapiteau e carovane che presenta spettacoli di città in città mentre il circo contemporaneo si identifica con le compagnie sovente inserite in circuiti alternativi, teatrali et similia che allestiscono delle produzioni incentrate su una base drammaturgica, appunto.

In realtà si tratta di una definizione molto elementare ed imprecisa e i melange e le sovrapposizioni tra i generi sono sempre più diffusi. La contrapposizione tradizionale/contemporaneo non ha senso.

 

3) Veniamo ad uno degli argomenti tabù: gli animali. Le rubo per un attimo il lavoro e faccio l'avvocato (del diavolo) per qualche istante. Visto che avere gli animali comporta, per un circo, l'oblio totale da parte della stampa nazionale (che non vuole inimicarsi nessuno dei propri lettori, o meglio, dei propri clienti), picchetti degli animalisti (che è vero, sono pochi e fanno molto rumore, ma sono molte le persone che stanno sviluppando questa sensibilità), che i Comuni, a volte per scelta etica a volte per non perdere voti, tendono a privilegiare circhi senza animali, non converrebbe togliere gli animali esotici dai propri spettacoli? Sia per una questione mediatica, sia perchè spostare e mantenere gli animali ha costi molto alti, sia perchè forse la sensibilità sta cambiando e anche il gusto del pubblico. Attenzione, non li vieterei per legge per nessun motivo perchè non si deve mettere bavaglio all'arte, ma farei rassegne specializzate dedicate ad appassionati del settore. Cosa ne pensa? Roncalli l'ha già fatto, Knie utilizza solo cavalli e cani, Circus Monti in Svizzera ha scelto questa strada e tutti fanno tournèe da sold out con spettacoli godibili sia per i bambini sia per pubblico adulto ed appassionati di settore.

La questione degli animali si muove su un terreno scivoloso. Dal punto di vista razionale e pure etico non c’è una sola ragione per vietarne l’impiego al circo una volta stabilite le condizioni ottimali di stabulazione. Purtroppo questo è uno dei temi che rientra in una sorta di “taboo”: ormai non si può più neppure affrontare l’argomento perché l’unico approccio consentito dal pensiero dominante è quello del divieto.

In realtà la modalità corretta di affrontare il tema sarebbe quella scientifico basato, cioè, sulla valutazione oggettiva del benessere animale.

Dal punto di vista pratico molte specie di animali presenti al circo fino all’inizio del millennio stanno progressivamente sparendo per una serie di ragion pratichei. Credo ci si debba impegnare per mantenere tutti gli animali domestici, alcune specie esotiche e i grandi felini che hanno facilità riproduttiva e di adattamento. Va sottolineato, peraltro, il fenomeno che vede molti circhi in Italia e non solo dismettere gli animali in modo spontaneo quasi a voler evitare tutta una serie di problematiche che la detenzione ormai comporta.

L’idea del Circo Roncalli di non impiegare gli animali e presentare gli ologrammi la trovo quasi irritante: se si vuole dismettere gli animali lo si faccia ma senza volerne conservare il simulacro.

 

4) Ho nominato le Cirque du Soleil. Una realtà che ha dimostrato che con spettacolo di buon livello tecnico e un'ottima regia si possono avere gli Chapiteau (o i palazzetti) sold out con biglietti che vanno dai 50 euro in sù. E' l'eccezione che conferma la regola o la dimostrazione che un'altra strada e possibile e basterebbe cominciare a seguirla? Mi si potrà dire "loro hanno il brand" ma sarebbe un'ulteriore conferma dell'importanza di una comunicazione fatta bene ed accurata.

L’irrompere del fenomeno “Cirque du Soleil” sul mercato negli anni ’90 (prima era una realtà di nicchia) ha costretto tutto il mondo del circo a fare i conti con l’idea delle produzioni, della regia, dello standard di qualità, col marketing, ecc. E’ stata un’iniezione di energia per tutti.

Va ricordato, però, che il “Soleil” è solo uno dei modi di fare circo, non certo l’unico: anche questo modello, come abbiamo visto, può entrare in crisi ed essere costretto a ripensarsi per evitare di divenire un cliché.

Al mondo del circo manca senz’altro “Ringling” che ha chiuso i battenti nel 2017: si tratta di una perdita difficilmente colmabile perché si trattava di un’icona senza eguali: basti pensare che era un brand più antico della Coca Cola negli USA. Vediamo cosa succederà ora che sta per essere presentato il nuovo Ringling.

 

5) In questi anni molte volte ho riscontrato diffidenza e chiusura da parte delle grandi famiglie circensi italiane a collaborare con chi non fa parte del loro mondo. Faccio riferimento anche ad alcuni progetti, anche rivolti ai ragazzi delle scuole, che ho proposto e che non hanno potuto avere seguito. Sembra abbiano cose più importanti a cui pensare (viaggi, montaggio e smontaggio, permessi, ecc…). Le nuove generazioni crede abbiano un'impostazione diversa o seguono quella dei loro predecessori?

Molti atteggiamenti stanno cambiando e non dobbiamo dimenticare che la diffidenza è spesso reciproca: dal circo verso l’esterno e viceversa. Alcuni esponenti delle nuove generazioni hanno capito che chiudersi e riproporre solo vecchi modelli non funziona.

Peraltro, la tradizione ben rappresentata continua ad avere un impatto espressivo fortissimo e molte volte sono stati proprio la danza ed il teatro a saccheggiare l’immaginario circense.

 

6) Come possiamo, noi appassionati di circo, giornalisti di settore e addetti ai lavori, far ri-innamorare il pubblico di questa splendida forma d'arte?

Dobbiamo perseverare nel cercare spazio e visibilità ovunque sia possibile. Naturalmente abbiamo bisogno di buoni prodotti da recensire, da raccontare.

 

7) Che ruolo può e dovrebbe giocare l'Ente Nazionale Circhi?

I direttori di circo, nessuno escluso, devono comprendere che è indispensabile aderire all’associazione di categoria. E non solo per chiedere appoggio ma per fornire idee e supporto. Lo stesso dicasi per le realtà sovranazionali come l’European Circus Association e la Federation Mondiale du Cirque. Da soli si conta sempre meno in una realtà articolata come quella attuale: fare “rete” è indispensabile e il presidente Antonio Buccioni l’ha capito da tempo.

 

8) Quali sono le attività e gli obiettivi del Club Amici del Circo del quale è Presidente?

Il Club è stato fondato nel 1969 da Egidio Palmiri, presidente per oltre 50 anni dell’Ente nazionale Circhi. L’idea era quella di fondare una realtà associativa che favorisse la diffusione della cultura circense nella società: nel nostro piccolo cerchiamo di farlo ancora.

Oggi è molto più facile di un tempo trovare canali per avvicinarsi al mondo del circo mentre fino a un paio di decenni orsono il Club era forse l’unica maniera. Ma il C.A.de.C. mantiene una sua specificità proprio per l’idea di una sorta di militanza che lega gli associati e il circo.

 

9) Mi racconta la prima volta che è andato al circo e come poi si è sviluppata la sua passione?

E’ stata una passione immediata: a quattro anni mio nonno materno mi portò al circo (Heros della famiglia di Ferdinando Togni) e da allora la “malattia” non è mai guarita…anzi!

Davide Vedovelli