Prima di entrare nel vivo del discorso – il lettore voglia perdonarmi – serve necessariamente una breve premessa storica. Non partiremo certo dalla sensibilità dell’uomo cacciatore della preistoria o dagli allevatori del Neolitico, ma molto più vicino ai giorni nostri.

Fino al secolo scorso, all’inizio della seconda metà del Novecento, esisteva ancora in Italia la civiltà contadina, che aveva un rapporto chiaro e preciso con gli animali: li utilizzava al meglio possibile a proprio vantaggio, nel rispetto dei cicli naturali e della tradizione. Parliamo dell’Italia povera del dopoguerra, dove la maggior parte delle persone si riteneva fortunata se poteva tirare il collo a un cappone per il pranzo della domenica. Nessun problema di coscienza. Era un mondo che aveva appena provato gli orrori della Seconda guerra mondiale e dei lager, dove i problemi morali erano diversi e più cocenti.

Poi c’è stato lo “sviluppo” e l’avvento di quella che potremmo chiamare società dei consumi di massa, o società della Téchne, e il rapporto tra uomo e animale è di nuovo mutato. Quello stesso pollo che prima il contadino spennava per le feste è finito macellato e confezionato nei frigoriferi di ogni supermercato, disponibile sempre e alla portata di tutti (o quasi), rigonfio di estrogeni e ripieno di antibiotici. Della civiltà contadina sono restati solo frammenti sparsi, come le pietre annerite di un vecchio casolare diroccato.

Ma la società dei consumi ha avuto, e ha ancora oggi, i suoi oppositori: un mondo culturale variegato ed estremamente eterogeno, ma sempre più improntato all’ambientalismo e all’animalismo. Progressivamente si è fatto strada un nuovo senso morale, l’idea che l’uomo debba rispettare non solo i suoi simili, ma anche l’ambiente, e vivere armoniosamente con la natura, animali compresi. Così molti giovani hanno coerentemente scelto il vegetarianesimo o il veganesimo e considerano ingiusto e abusivo lo sfruttamento degli animali.

E il circo? I circensi hanno fin dall’inizio della loro storia utilizzato gli animali per dare spettacolo, meglio se esotici e feroci. Fa parte della loro arte, della loro tradizione, della loro esistenza. Nelle epoche passate questo non ha mai rappresentato un problema morale, ma oggi lo è sempre di più e negarlo non serve.

I circensi sono diventati il bersaglio ideale per l’animalismo militante: mostrano pubblicamente i loro animali in gabbia, per di più con il solo scopo di dare spettacolo. Sono perfettamente aggredibili senza nessun rischio, e con un consenso generale sempre più ampio. Inoltre, esiste il circo senza animali, che rappresenta un’alternativa percorribile, ed esiste il circo con animali che non scatenano proteste furiose, come i cavalli, i cani e i volatili.

Ben più difficile è contestare l’allevamento intensivo o il macello seriale, che fanno parte del tessuto produttivo, e godono dell’approvazione dei più, di tutti coloro che intendono continuare a trovare il loro pollo al supermercato.

La mia posizione a riguardo è inequivocabile: non approvo chi sceglie i bersagli facili, i più deboli, per tacciarli di immoralità e pubblico scandalo. Lo trovo un atteggiamento tremendo, non solo da moralisti, ma anche da bulli, frutto di frustrazione e fondamentale incapacità politica.

Tuttavia, credo anche che i circensi debbano accettare i cambiamenti in atto.

Stimo i giovani domatori che hanno scelto di lasciare l’Italia per cercare altrove, in Russia o in Oriente, un pubblico più vasto che apprezzi la loro arte.

Stimo anche chi ha preso serenamente atto del cambio di gusto del pubblico e ha adattato la sua arte al tempo presente, senza rimpianti ma guardando al futuro.

Armando Talas