La creatività è la sola e unica via che potrà far uscire il circo classico dalla crisi che in Italia rischia di travolgerlo. Altrimenti lo spettacolo tradizionale verrà sempre più relegato al ruolo di intrattenimento esclusivo per bambini, rinunciando alla sua storia e alla sua cultura

Mentre i circhi italiani cominciano a prepararsi per le tanto attese ed agognate feste natalizie, con la speranza di rimpinguare le casse, la stampa generalista tace come consuetudine in attesa di qualche colpo da cronaca nera atto ad innescare i soliti pregiudizi che aleggiano sul mondo del circo ormai dalla notte dei tempi.

Com’è noto, i giornali a carattere nazionale bocciano senza appello qualsiasi articolo inerente a spettacoli di circo, eccezion fatta per il Cirque du Soleil, dove però inevitabilmente il cronista di turno, poco avvezzo solitamente alla materia circense, scivola sulla questione animalista con ovvia facilità. Non è tempo comunque di vittimismo, e una seria autocritica andrebbe sempre fatta, come il buon senso e l’intelligenza suggeriscono, ma sappiamo tutti che per i circensi nostrani la materia risulta spesso ostica.

In Europa e non solo, negli ultimi anni c’è stato un proliferare di festival e rassegne di circo di ogni genere, con risultati di pubblico quasi dappertutto considerevoli. A parte i premi per i partecipanti, che logiche politiche interne ne conferiscono quasi sempre lo stesso valore del due di briscola, fomentano un interesse intorno alle arti circensi indubbiamente vitale. Anche In Italia ne esistono validi esempi. Mirabilia, Funambolika, sul Filo del Circo e una miriade di festival di strada da una parte, e Latina con la sua bella kermesse dall’altra.

Dietro eventi del genere agiscono seri professionisti del settore e i programmi sono di conseguenza di tutto riguardo. Quando non si finisce per parlare di animali e animalismi ideologici e pretestuosi, la materia sulla quale discutere esiste e resiste. Nessuno in ogni caso a Funambolika o a Mirabilia reclamerà per l’assenza degli animali. Lo spettatore in generale è più maturo di quando semplicisticamente si pensi, e la sola e unica via della creatività potrà portare all’unico risultato auspicabile per il classico come per il nuovo circo: far incontrare e soddisfare con spettacoli di valore i due differenti pubblici fruitori finali.

Non se ne ha la certezza, ma in Italia lo spettatore da circo contemporaneo che affolla indistintamente anche teatri e cinema solitamente non va al circo tradizionale, che lascia volentieri alle famiglie. Non è in se la presenza di leoni e tigri a farlo desistere, ma la convinzione spesso fondata di non trovare nulla di particolarmente fantasioso e coinvolgente. La ripetitività all’infinito di una creatività satura e priva di slanci interessanti, relegherà sempre di più il circo classico ad essere catalogato a ruolo esclusivo di intrattenimento per bambini.

Il susseguirsi di numeri, base fondante dei successi del circo degli anni settanta, necessita di nuovo vigore e idee che non ne vadano comunque a snaturare l’essenza originale. Il circo di Moira Orfei — per rimanere in italia e non scomodare gli ottimi Knie e Roncalli, veri maestri del genere — è attualmente un esempio di come la tradizione possa resistere e primeggiare anche in presenza di linguaggi più moderni, assemblati sapientemente da professionisti che agiscono solitamente fuori dal contesto circense.

Anche per il capitolo riguardante i contributi elargiti ai circhi ci sarebbe bisogno probabilmente di una sana discussione. Il metodo attuale è ritenuto da molti assistenzialistico e fu messo in discussione a suo tempo anche dallo stesso Ente Nazionale Circhi che ammise di preferire i più plausibili sgravi fiscali. Il fine comunque dovrebbe essere quello di stimolare nuovi progetti che viaggino in direzione della tanto necessaria qualità. Il circo è arte, prima ancora che sopravvivenza.

a cura di Michele Casale per ilridotto.info